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 2021  settembre 21 Martedì calendario

Agnelli, atlantista e europeista. Intervista a Valerio Castronovo

Europeista. E sindaco di Villar Perosa. «In qualche modo, tra le tante cose che è stato l’Avvocato Gianni Agnelli, mi vien da dire che fu Glocal ben prima che si adoperasse questo termine. S’interessava del mondo, della fabbrica, e si occupava di quella comunità della quale, prima suo nonno e poi suo padre, furono sindaci. Si relazionava con i grandi della terra e poi metteva in fila le cose di Villar Perosa».
Parla Valerio Castronovo, accademico, storico e mille altre cose, oltre che curatore di numerose trasmissioni Rai, e oggi relatore al convegno sui cento anni dalla nascita dell’Avvocato, al Polo del 900. E dice: «L’Avvocato Gianni Agnelli è stato, se non l’unico, uno dei pochissimi esponenti della classe dirigente italiana ad aver mantenuto, per quasi mezzo secolo, una posizione di primo piano nell’establishment del mondo occidentale».
E questo in virtù del fatto che rappresentava la Fiat?
«No, in virtù delle sue relazioni personali internazionali. Dei rapporti costruiti nel corso degli anni, che lo fecero diventare amico di Kennedy e di Rockfeller. Tutto questo è accaduto grazie alla sua personalità e alla sua curiosità verso la vita politica e culturale americana».
Ma non ci fu soltanto l’America nella vita dell’avvocato, non è vero?
«Assolutamente no. Lui fu un grande Atlantista, ma anche un fervido e convinto europeista. Ecco, questi erano i cardini attorno ai quali ruotavano i suoi interessi».
Europeista prima dell’Unione Europea?
«Guardi, anche il nonno Giovanni, fondatore di Fiat, sosteneva la prospettiva di una federazione europea. Il che, ai tempi, era un’avanguardia assolutamente inedita in Italia. E non soltanto».
Lei che l’Avvocato lo conosceva e ne ha studiato la figura, come si spiega questa visione di Europa?
«Per scongiurare una nuova guerra mondiale occorreva che tutta l’Europa mettesse da parte il nazionalismo e si pronunciasse per una prospettiva di unione politica europea».
E in Italia che rapporti aveva l’Avvocato?
«Trasversali e molteplici: cose che facevano di lui un uomo molto ascoltato, anche grazie alla visione del mondo».
Il rapporto che non ti aspetti?
«Ricordo quello con Luciano Lama, segretario generale della Fiom Cgil dal 1970 al 1986 e quelli con l’ala migliorista del Pci, tanto per dirne alcuni. Erano gli anni delle tensioni, dell’Italia che cambiava...».
Professore, in una battuta, Torino che ruolo ha giocato nella vita dell’Avvocato?
«Un ruolo cardine. Tanto che dalla sua città non si è mai staccato, pur guardando, come ho detto, al mondo. Poteva telefonare alle 6 del mattino ai giornalisti per sapere le novità, ma Torino era il suo centro, una città con una sua identità».
In che senso?
«Per lui non era soltanto la città -fabbrica. Certo, qui è nata ed è cresciuta la Fiat, ma l’identità della città andava oltre. E questo la rendeva unica. Potrei dire che la fabbrica era importante perché connotava la città. Lo stesso, mi lasci dire, vale per John Elkann, che guarda al mondo ma gravita qui. Vive qui. E la fabbrica conta anche con lui, tanto qui nascono le auto elettriche, e qui ruota la sua esistenza».
Torniamo a parlare dell’Avvocato e di Torino. Per quale ragione non ha mai avuto tentazioni politiche in città?
«Era rispettoso delle istituzioni pubbliche, e aveva un forte senso dello Stato. E quello non era il suo ruolo. Villar Perosa è un’altra storia».
E così si torna al glocal dell’Avvocato?
«Esattamente». —