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 2021  settembre 21 Martedì calendario

La scala mobile di Agnelli

L’inflazione – o aumento generalizzato dei prezzi – è un fenomeno che abbiamo in parte dimenticato. In realtà i lettori attenti sanno che è un tema che sta lentamente tornando di attualità, anche perché negli Stati Uniti i prezzi sono aumentati nel 2021 intorno al 5 per cento, un livello che non si vedeva da quasi trent’anni. I lavoratori più anziani e gli appassionati di storia economica ricordano bene quanti difficili problemi si devono affrontare con un’inflazione annua del 15-20 per cento. Quei problemi erano certamente chiari a Gianni Agnelli quando nel 1974, all’età di 53 anni, assunse la carica di presidente degli industriali italiani.Anche se il Pil pro-capite italiano continuava a crescere, l’inflazione in pochi anni era passata dal 5 al 18 per cento e le fabbriche erano in grande mobilitazione. La crisi energetica conseguente alla guerra arabo-israeliana portò i Paesi produttori di petrolio appartenenti all’Opec a ridurre l’estrazione di greggio e causare un aumento del prezzo dell’oro nero da 4 a 16 dollari al barile, un fenomeno conosciuto come il primo shock petrolifero. Eravamo vicini a una grande recessione globale. Le lotte sindacali erano intensissime con continui scioperi improvvisi. Nella sola Fiat si persero in quell’anno circa 5 milioni di ore lavorate.Misura sostenuta da FriedmanIl neo presidente di Confindustria si convinse immediatamente che fosse necessario un patto con le forze confederali per gestire la crisi. Appena insediato in viale dell’Astronomia, riunì i segretari confederali Luciano Lama per la Cgil, Pierre Carniti per la Cisl e Giorgio Benvenuto per la Uil. Dal punto di vista dei lavoratori, l’aumento generalizzato dei prezzi rischiava di far perdere potere d’acquisto ai salari, generando un ulteriore inasprimento delle lotte sindacali. Senza dubbio era una preoccupazione profonda per Gianni Agnelli. Uno dei possibili strumenti per gestire l’inflazione era quello di introdurre un meccanismo di indicizzazione automatico dei salari all’aumento dei prezzi. Il tema era molto dibattuto in tutto il mondo occidentale.L’indicizzazione salariale era vista come il fumo negli occhi da molti industriali e da molti economisti conservatori. Il timore dell’indicizzazione era la cosiddetta spirale incontrollata tra salari e prezzi. Secondo i nemici dell’indicizzazione, l’aumento dei salari necessario a restituire il potere d’acquisto ai lavoratori avrebbe spinto le imprese a aumentare nuovamente i prezzi, generando ulteriore inflazione e creando una rincorsa perversa tra prezzi e salari. Invece che controllare l’inflazione, l’indicizzazione avrebbe finito per sostenerla.Tra i sostenitori dell’indicizzazione vi fu però Milton Friedman, monetarista, padre della Scuola di Economia di Chicago e vincitore del premio Nobel per l’economia nel 1976. Invito qualunque studente e appassionato di storia economica a seguire su Youtube (Archives of American Enterprise Institute, Indexing and Inflation with Milton Friedman) i tre minuti di intervento di Friedman in difesa dell’indicizzazione. Gli argomenti proposti furono sostanzialmente due. L’inflazione è in realtà una tassa sui cittadini nascosta, subdola e non trasparente e ogni strumento che rende quella tassa meno efficace è – secondo Friedman – desiderabile. Inoltre, grazie a un meccanismo di indicizzazione salariale, che in realtà Friedman vorrebbe anche per i prezzi delle case, le autorità monetarie avrebbero meno incentivo a utilizzare l’inflazione per diminuire la disoccupazione muovendosi su una curva di Phillips che – nella visione del grande economista – esisteva soltanto nel breve periodo.La contrarietà di La MalfaAd ogni modo Gianni Agnelli – come rappresentante degli industriali – firmò con Luciano Lama nel gennaio del 1975 l’introduzione della scala mobile e il punto unico di contingenza per tutte le categorie di lavoratori. Quell’accordo fu considerato da molti industriali come un vero e proprio tradimento. Lo stesso Ugo La Malfa – allora vicepresidente del Consiglio – criticò l’Avvocato e si mise nella posizione di chi vedeva quell’accordo come fonte di ulteriore inflazione. La scala mobile ebbe vita travagliata e il meccanismo di indicizzazione venne poi indebolito da successivi interventi governativi. Lo scontro più drammatico e il declino della scala mobile raggiunsero l’apice nel 1985 quando un referendum proposto dalla Cgil per recuperare in pieno l’indicizzazione fu sconfitto dagli italiani e rappresentò una grande vittoria per l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi.L’abolizione nel 1991Mentre l’Italia abbandonò completamente la scala mobile nel 1991, la ricerca accademica continuò a occuparsi dei suoi effetti sul sistema economico. Marco Manacorda – uno dei migliori economisti italiani del lavoro e oggi professore al Queen Mary College di Londra – nel 2004 ha pubblicato un saggio sugli effetti dell’abolizione della scala mobile sulla disuguaglianza salariale in Italia (Can the Scala Mobile Explain the Fall and Rise of Eraning Inequality in Italy? A Semiparametric Analysis, 1977-1993, Journal of Labor Economics, vol. 22, n. 3). Manacorda mostra chiaramente – utilizzando l’inchiesta sulla ricchezza delle famiglie della Banca d’Italia – che l’indebolimento e la successiva abolizione della scala mobile hanno statisticamente causato un aumento della diseguaglianza salariale in Italia a partire dal 1977.Ai tempi in cui Gianni Agnelli era presidente di Confindustria io ero solo un bambino, e non ho davvero idea se nella sua controversa decisione di introdurre la scala mobile sia stato influenzato dal grande Milton Friedman. In fondo l’Avvocato aveva relazioni a ogni livello negli Stati Uniti, e non mi stupirebbe scoprire che in quelle settimane avesse parlato anche con i migliori accademici dell’epoca. —