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 2021  settembre 20 Lunedì calendario

Gli 80 anni di Bossi con un’intervista a Rocco Buttiglione

GEMONIO (Varese) Eccolo, il vecchio Capo. A fine giornata, e che giornata per lui che ha raggiunto il traguardo degli 80 anni, tocca al figlio Renzo rompere la cortina di riservatezza e pubblicare sui social la foto di papà Umberto con i fratelli Roberto Libertà e Eridanio Sirio. Il fisico è provato, ma l’immagine è quella del vecchio combattente con l’immancabile sigaro in bocca.
La moglie Manuela ha fatto di tutto perché la ricorrenza scivolasse via senza i riflettori che hanno sempre accompagnato Bossi. Nessuno, a parte gli strettissimi familiari, ha potuto vederlo o fargli gli auguri di persona. Ma era illusorio pensare che, malgrado ormai sia uscito di scena e alle prese con sempre più limitanti problemi fisici, il compleanno a cifra tonda non offrisse l’occasione per tributi di affetto, gesti di riconoscenza, riflessioni sul ruolo che il fondatore della Lega ha giocato sulla scena politica italiana degli ultimi trent’anni.
Anche se oggi il Carroccio è molto diverso da quello delle origini, nelle politiche e perfino nel nome (non c’è più Nord e la Padania è sparita), l’ultimo suo «erede», Matteo Salvini ricorda che è stato Bossi a tracciare la strada con un messaggio social inviato dall’auto con cui si sposta da un appuntamento elettorale all’altro: «Questo è il modo di fare politica con passione e tenacia, con testa e cuore, che mi hai e ci hai insegnato. Se siamo qui, se milioni di persone credono in un futuro migliore è perché hai cominciato con pochi altri eroi e valorosi tanti e tanti anni fa».
E se l’attuale leader, nonostante da tempo i rapporti siano piuttosto freddi (le ultime uscite del vecchio Capo non erano «allineate»), manifesta sentimenti di «riconoscenza, gratitudine, affetto, stima e venerazione», l’alleato di tanti governi, Silvio Berlusconi, sottolinea che Umberto Bossi «è un leader politico visionario che ha cambiato, con le sue intuizioni autonomiste e federaliste e con il suo contributo alla fondazione del centro-destra, la storia politica dell’Italia». Pur dal fronte opposto, lo riconosce anche il segretario del Pd Enrico Letta: «È stato un protagonista della politica italiana. Siamo stati sempre su fronti avversi, però, sinceramente e francamente gli faccio gli auguri».
A Gemonio
La voce emozionata del Senatùr, che resta
con la moglie e i figli
nella casa di Gemonio
E tanti altri si sono uniti, con messaggi sia pubblici che privati, ai festeggiamenti che il diretto interessato avrà accolto a modo suo. «Umberto non ha mai amato i compleanni. Ogni volta che gli ho fatto gli auguri sono stato ricoperto di insulti» ha ricordato ieri mattina Roberto Calderoli, tra i fondatori della Lega, a Cisano Bergamasco durante l’incontro di un drappello di fedelissimi promosso dall’ex ministro Roberto Castelli per festeggiare la ricorrenza.
In un’atmosfera un po’ da reduci di un sogno che non c’è più o che s’è trasformato in altro (non c’erano simboli della «nuova» Lega) alle 11 è arrivato l’annunciato collegamento con casa Bossi. Ma il vecchio Capo, forse sopraffatto dall’emozione, è riuscito a dire solo un «grazie» al tributo d’affetto ricevuto, assicurando con un fil di voce che appena possibile tornerà in mezzo al suo popolo.
Popolo che lì, a pochi chilometri dalla Pontida del sacro suolo (il raduno anche quest’anno è saltato, dopo lo stop forzato per il Covid), però non c’era. Come non c’erano, a parte i vecchi amici Calderoli e Castelli, uniti nel ricordare che la loro carriera politica non sarebbe mai iniziata senza la folgorazione bossiana, i più importanti dirigenti del Carroccio (sono intervenuti il segretario della Lega lombarda Fabrizio Cecchetti e il deputato bergamasco Christian Invernizzi).
C’era solo un vecchio militante con dodici volumi di ritagli a ricordare cosa è stato Bossi per la politica italiana: il leader nordista contro Roma ladrona, il padre della Devolution, l’alleato fedele dei governi Berlusconi (tranne il primo), l’inventore di riti e slogan. Ma quello è il passato. La foto di Renzo ricorda che siamo in un’altra stagione della vita di un leader che dietro il fumo del suo sigaro non ha smesso di seguire la politica. A modo suo.
Cesare Zapperi
Intervista a Rocco Buttiglione
«Di politica non mi occupo più, ma di Umberto parlo volentieri». Per Rocco Buttiglione, filosofo cattolico prestato alla politica di cui è stato uno dei protagonisti per tutti gli anni Novanta, festeggiare gli 80 anni del fondatore della Lega significa rivivere tappe decisive degli albori della Seconda Repubblica.
Professore, quando conobbe per la prima volta Bossi?
«Lo conobbi nel 1994 con Mario Segni. Io allora ero una sorta di consulente del segretario del Ppi Mino Martinazzoli. La mia idea era di creare un polo moderato con la Lega in competizione con il polo della sinistra».
E Bossi era d’accordo? Lui era nato contro il sistema.
«Ci incontrammo e trovammo un’intesa di massima. L’accordo vero e proprio lo prendemmo con Roberto Maroni. Peccato che il giorno dopo la firma Bossi lo sconfessò. Fu un grave errore politico perché in quel momento c’erano tutte le condizioni per far nascere un vero e sano bipolarismo».
Perché Bossi cambiò idea?
«Mi disse che si era fatto l’idea che Martinazzoli non ci credesse e si mosse in anticipo come un giocatore d’azzardo. Ma ripeto, fu un errore perché quel disegno avrebbe impedito la discesa in campo di Silvio Berlusconi».
Addirittura poi Bossi sostenne il Cavaliere nella nascita del suo primo governo. Salvo staccargli la spina dopo pochi mesi.
«Sì, capì presto che la Lega sarebbe rimasta schiacciata dall’asse Berlusconi-Fini e si chiamò fuori. Aveva una capacità tattica notevole».
Fu lì che lei tornò all’assalto del leader leghista. Il 23 dicembre 1994 firmò il «patto delle sardine» (dal piatto che consumarono, ndr) con Bossi e Massimo D’Alema per far cadere Berlusconi e dare vita al governo Dini.
Il segno
Se la sua energia vitale fosse stata accompagnata da un impianto politico avrebbe lasciato il segno
«Nelle intenzioni doveva essere un esecutivo che doveva porre fine all’occupazione dello Stato da parte dei partiti. Mai ci fu un disastro più grande di quello».
Di chi fu la colpa?
«Di D’Alema. Sentiva il fascino del disegno ma voleva portare i comunisti al governo. Bossi, invece, fu leale».
Eppure, era uno straordinario movimentista.
«Il suo grande pregio è sempre stato quello di essere vicino alla gente. Aveva il polso del popolo che chiedeva un cambiamento. Il limite è che non aveva una grande cultura politica. Ma ricordo la voglia di imparare. Stavamo ore e ore a parlare. E lo stesso Berlusconi degli inizi aveva grandi idee nuove. Poi è iniziata la guerra alla magistratura...».
Bossi si è guadagnato un posto nella storia della politica italiana?
«Di sicuro aveva una energia vitale che se fosse stata accompagnata da un impianto politico avrebbe lasciato il segno. Invece, mi pare che un equilibrio si sia rotto prima di arrivare ai risultati attesi. E ora non se ne vede uno nuovo. Il Paese aspetta le riforme che volevamo fare ma paradossalmente non ne parla più».
C’è qualcosa in comune tra Bossi e Salvini?
«Sì, l’Umberto degli inizi era molto simile all’attuale leader. Ha iniziato con idee un po’ sballate (ricordate il dio Po?) ma poi, soprattutto sul territorio, ha cresciuto una classe dirigente di valore. Salvini rimane un enigma. L’area che ha aggregato è decisiva ma sulla sua capacità di guidarla ho dei dubbi. Bene ha fatto ad appoggiare Draghi, gli ondeggiamenti degli ultimi mesi rischiano invece di essergli fatali».
Cesare Zapperi