la Repubblica, 20 settembre 2021
Intervista a Mogol
L’autore insegnerà all’università di Chieti e Pescara
di Carlo Moretti Ha sempre detestato essere chiamato “paroliere”, preferendogli il più preciso “autore”. Del resto un’altra definizione non c’è, o meglio, non c’era. Perché negli ultimi tempi, più frequenti e prestigiosi sono arrivati i riconoscimenti di “poeta”.
L’ultimo, dopo il Premio Giacomo Leopardi di due anni fa, Mogol l’ha ricevuto la settimana scorsa al Dante2021 di Ravenna, il festival con la direzione scientifica dell’Accademia della Crusca. Per introdurre il suo riconoscimento è stato scritto: “Cercatelo, Dante, nei testi di Mogol”. Ma l’assimilazione tra il suo lavoro di autore e la poesia non finisce qui: l’università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti e Pescara ha avviato quest’anno il primo master in Italia di scrittura creativa e l’ha chiamato a tenere lezioni ai laureati in un corso su scrittura poetica e canzone che s’intitolerà Pensieri e parole, come uno dei suoi successi con Battisti.
Mogol, una doppia e bella soddisfazione.
«Sono segnali importanti, con l’Università “Gabriele D’annunzio” mi sono posto l’obiettivo di rilanciare la poesia. In Italia il 14% della popolazione scrive poesie e quando le poesie sono vere emozionano. Non sempre però accade, molti ci riversano le loro elucubrazioni, fanno sfoggio di cultura. Bisogna usare un linguaggio semplice, bisogna saper leggere la bellezza della vita. A una lezione ho letto una mia piccola poesia, dice così: “L’offerta silenziosa dell’albero: ‘Se mi fai compagnia ti regalo la mia ombra’"».
Non ha letto una sua canzone?
«Volevo chiarire il concetto che una poesia può essere anche di una semplicità estrema, purché sia vera.
Il 24 settembre all’Università “Gabriele D’Annunzio” ci sarà la presentazione del master e l’attore Alessandro Preziosi reciterà alcuni miei testi, si vedrà come quella che era una poesia sia diventata una canzone. La poesia si può insegnare e si deve approfondire. Al Cet, la mia scuola in Umbria, farò lo stesso corso per i non laureati, mi aiuteranno Cheope (il figlio, anche lui autore, ndr ) e Giuseppe Anastasi».
Quale sua canzone sceglierebbe come esempio di poesia?
«La collina dei ciliegi, l’ha letta? Ho incontrato persone che, recitandola, si emozionano fino alle lacrime. E Vento nel vento, o Dormi amore, che ho scritto per Celentano: è una poesia nata dalla verità, l’ho vissuta: il pigiama leggero, il cuore che trema, parlo della morte. Io vengo considerato un poeta perché la gente conosce a memoria le mie canzoni e la prova è che nei concerti che facciamo con Gianmarco Carroccia le cantano quasi tutti. È un fenomeno che ogni volta mi sorprende».
Sono parole entrate nella
memoria collettiva.
«Non c’è nessuna differenza tra la poesia scritta e la poesia cantata, entrambe sono scritte. Nella cultura latina le poesie erano cantate, non erano scritte per essere lette. Forse nella memoria degli italiani le parole che ho scritto sono le più numerose e di Leopardi o di Dante a memoria si ricordano, colpevolmente, solo una o due poesie».
Da presidente Siae, che qualità ha la scrittura nelle canzoni di oggi?
«Una volta le canzoni venivano scelte dai disc jockey, le selezionavano. Poi le radio hanno cominciato ad avere le edizioni e infine la tecnologia è diventata promozionale. Non è più la canzone di tutti ma di quelli che si sintonizzano con quella tecnologia.
Oggi un pezzo viene promosso dai social, il pubblico è settorializzato, di nicchia. Ma io ho fiducia: al Cet gli allievi hanno scritto tremila brani che sono meraviglie».
La scena di maggior successo in Italia non è incoraggiante.
«La mia scuola in Umbria l’ho fondata per questo, quando ho capito che le cose stavano cambiando. La cultura si trasferisce con l’insegnamento, molti nuovi artisti hanno saltato qualche passaggio».
Mogol, lei si sente un poeta?
«Poeta lo sarò tra 50 anni, quando tutti ricorderanno le mie parole. Però a pensarci questo sta già accadendo, perché dai primi miei successi sono già passati 50 anni».