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 2021  settembre 16 Giovedì calendario

La doppia vita di John Cheever

UNA VERSIONE: John Cheever nacque a Quincy, nel Massachusetts, nel 1912. Nel 1935, all’età di ventidue anni, pubblicò il suo primo racconto sul New Yorker, inaugurando una collaborazione con la rivista che durò tutta la vita.
La sua reputazione letteraria crebbe lentamente finché, nel 1958, vinse il National Book Award per il suo primo romanzo: Cronache della famiglia Wapshot. Nel 1964 il Time gli dedicò la copertina, un riconoscimento che all’epoca lo rese famoso in tutto il paese; con zelo allitterativo, la rivista lo definì “L’Ovidio di Ossining”, dalla città dello stato di New York dove visse per molti anni. L’articolo racconta della vita idilliaca dello scrittore con la moglie Mary e i tre figli nella loro bella casa. La foto della moglie riporta una didascalia che si riferisce all’elitaria devozione dello scrittore per la consorte e per le doti culinarie di quest’ultima: «Un occasionale omaggio in latino alla qualità dell’arrosto». In una sezione intitolata “Il monogamo” apprendiamo che «Cheever, quasi unico nell’ambito della narrativa moderna, onora gli splendori e le gioie della monogamia»; un po’ oltre, che «ama ballare e il liquore lo preferisce con una scorzetta di limone ».
Quattro anni dopo, nel 1968, il suo racconto più noto, Il nuotatore, divenne un film con Burt Lancaster. I suoi romanzi sono di buona fattura ma è nella forma breve che eccelle.
I racconti (1978), con cui si aggiudicò il National Book Critics Circle Award e il Premio Pulitzer, rappresentano una delle massime espressioni della letteratura americana del Ventesimo secolo. Ai figli ripeteva con una punta di ironia: «Sono un marchio famoso, come i fiocchi di mais o i cereali di frumento integrale». Cosa peraltro vera, e nel 1982 morì carico di onori.
OPPURE : John Cheever aveva una madre opprimente e un padre alcolizzato; anche lui e il fratello finirono per darsi alla bottiglia. Quando si sottopose ad alcuni test per l’Esercito, si scoprì che aveva un qi basso, anche se a una seconda visita i risultati si rivelarono sufficienti. Nonostante i successi iniziali, nutriva il timore di non rientrare nella cerchia dei grandi, come Norman Mailer, e pativa tanto i fronzoli mondani di Irwin Shaw, quanto la genialità di John Updike.
Scrisse all’incirca duecento racconti, e ciononostante il suo processo creativo non si distinse per disinvoltura; nel 1947 confidò a un amico: «La voglia di scrivere racconti è pari alla voglia di scoparmi un pollo». Dentro a quella che era stata definita un’unione idilliaca si sentiva spesso profondamente solo e preda di inquietudini sessuali; al di fuori, era sovente fedifrago sia con uomini che con donne. I dissapori con Mary duravano anche una settimana intera e furono sul punto di separarsi infinite volte. «Sono così sensibile», scrisse sul diario nel 1955, «che sembro pazzo… sembra che io abbia pianto troppe lacrime, lacrime di gin, lacrime di whisky, lacrime di sale, ma comunque troppe». Soffriva di «vertigini che mi prendono allo scroto» sulle banchine della stazione o sui ponti. La sensazione di essere sempre lui quello che dispensava amore e mai quello che ne riceveva accentuava la sua autocommiserazione; né riuscì mai a confessare la propria omosessualità, tranne che sulle pagine segrete del diario.
Fece sesso con il fotografo Walker Evans ed ebbe una relazione con l’attrice Hope Lange, che lo descrisse come «uno degli uomini più arrapati che abbia mai conosciuto». Queste rivelazioni, che emersero dalle Lettere (1988) e dai Diari (1991) dopo la sua morte, offuscarono scioccamente la sua reputazione letteraria per svariati anni.
Lo scrittore con cui Cheever viene associato più di frequente nel mondo delle lettere è John Updike: entrambi scrissero romanzi e racconti sulla borghesia suburbana della East Coast ed entrambi furono nomi di spicco presso il New Yorker. Ma Updike, nato nel 1932, era di un’intera generazione più giovane. In termini di anni, Cheever era più vicino a Scott Fitzgerald (del 1896) o a Hemingway (del 1899), o all’altrettanto sottovalutato John O’Hara (del 1905). Uno scrittore nato tra Cheever e Updike, e che con questi condivide parte del loro mondo e una tradizione letteraria prettamente maschile, è Richard Yates (del 1926), riscoperto e rivalutato di recente. In Revolutionary Road, il suo romanzo più famoso e dal titolo calzante, Yates spiegò come il sogno americano si fosse infine esaurito nelle strade dei sobborghi dediti al consumismo. Inizialmente, il Coniglio di Updike tenta di fuggire proprio da questo milieu per farvi presto ritorno e accogliere quanto aveva da offrire, senonché – svenduto, come si era svenduto anche il resto dell’America – diventa un rappresentante della Toyota: la sua è una sconfitta tanto economica quanto spirituale. Il mondo di Cheever si colloca in un’epoca di poco antecedente, in sostanza quella di Truman e Eisenhower, prima che gli anni sessanta prendessero piede, quando l’espansionismo e il potere dell’America sembravano un gioco da ragazzi e il consumismo, se non proprio entusiasmante, pareva per certi versi quasi puro. Come disse un uomo della propria moglie di Westchester: «A voi forse sembrerà una donna viziata, ma io trovo che sia semplicemente una donna che si gode la vita in un paese giovane e fiorente». Nel 1956, Cheever si autodefinisce nei suoi diari un membro di «questa generazione allegra». Gli anni sessanta avevano reso scialbi gli anni cinquanta, ma basta concedere un po’ di tempo e ogni decade torna a risplendere come prima.