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 2021  settembre 13 Lunedì calendario

I nostri eserciti nell’Occidente senza strategia

Una campagna militare perduta è un’occasione da non perdere per evitare di perdere la prossima. Specie se la sconfitta è l’ultima di una collezione in cui abbiamo metodicamente impiegato le Forze armate contro i nostri interessi. Perché prima di insabbiarci per quasi vent’anni in Afghanistan - alfa e si spera omega della nostra "guerra al terrorismo" - a costi umani e materiali considerevoli, avevamo fatto persino peggio contro la Jugoslavia (1999) o contro la Libia (2011), contribuendo a destabilizzare la nostra frontiera balcanica e quella nordafricana. Ergo, la sicurezza del nostro paese. Un autogol può capitare, ma quando diventa regola significa che qualcosa non funziona nel nostro modo di usare la forza.
Molto semplicemente, manca la strategia. La determinazione degli obiettivi di fondo del nostro paese nel medio-lungo periodo e degli strumenti atti a perseguirli. Esercizio cui non possiamo sottrarci a causa dei nostri limiti di potenza: a differenza dei primattori non abbiamo strati protettivi che permettano di assorbire colpi pesanti. Non possiamo sbagliare strada maestra senza finire dritti nel muro. Serve una direzione di marcia adattabile ma chiara negli obiettivi vitali, sostenuta dal consenso della nazione al di là dei governi o delle ideologie di moda. C’era una volta la guerra fredda che preassegnava il compito a tutti i contendenti: noi dentro la coalizione occidentale, sotto gli americani (con intenzione) e contro i sovietici (con giudizio), salvo il diritto a saltuarie escursioni in solitario, talvolta benedette dal principale. Lunga e beata adolescenza, al di qua della linea d’ombra. Schema quasi perfetto, che ci ha viziati. Abituandoci all’irresponsabilità. Da trent’anni quelle certezze sono sfumate. Il Numero Uno è con la testa (confusa) altrove, del nemico o "avversario strategico" si hanno idee molto diverse dentro la stessa Nato, di cui molti americani e francesi, per ragioni diverse, mettono in questione il senso. Nel frattempo siamo invecchiati senza maturare il senso del dovere verso noi stessi che l’età impone. Tanto più ora che intorno e dentro la Penisola soffiano venti di tempesta. Ci rifiutiamo di stabilire che cosa vogliamo. Anzi, facciamo la lezione agli altri, invochiamo il rispetto dei "diritti umani universali" (concetto per niente universale) salvo discettare su come delegarne la cura a impotenti organizzazioni (Onu) o formati internazionali (G7, G20 e chi più G ha più ne metta) non esattamente esecutivi. Insomma ci atteggiamo a ente morale. Pensoso dell’ecumene.
Siamo uno Stato responsabile dei suoi sessanta milioni di cittadini, non dell’umanità. Abbiamo, per casi estremi, Forze armate deputate a proteggerci. Risorsa esigua, pur dotata di punte invidiabili, capaci di reggere il confronto con professionisti dotati di superiori armamenti. Tesoro da non sperperare impiegandolo a vanvera. Ma per paradosso questo paese vocato alla pace, consapevole che in una guerra vera avrebbe le ore contate, pecca di militarismo. Accade quando lo Stato non fissa l’obiettivo del suo braccio armato. Spariamo di rado, ma quando lo facciamo non sappiamo perché. La forza italiana è scaduta da mezzo a fine perché il fine non c’è. Forza per la forza, guerra per la guerra. Senza nemmeno sapere chiamarla tale.
Ma se continuiamo a farci del male ci sarà pure del metodo in questa follia. Infatti c’è. Nulla di segreto né di misterioso. Solo l’impulso di certificare la nostra esistenza in vita agli americani o ad altri potenti alleati, spedendo contingenti-gettone nei teatri più improbabili. Sperando così di garantirci un posto apparecchiato ai tavoli delle potenze, per i cui formati e allestimenti coltiviamo una passione. Peccato che di norma il nostro piatto resti vuoto. Perché le potenze vere, a cominciare dall’America, non sentono di dover nulla a chi nulla sa chiedere. Non rispettano chi non si rispetta.
Possiamo ancora dare un senso postumo al sacrificio di chi è stato comandato a combattere senza poter sapere perché – eroismo quasi trascendente. Avviando nei luoghi deputati e davanti all’opinione pubblica la definizione di una gerarchia di obiettivi cui non deflettere. E delle risorse adeguate a perseguirli. Le assicurazioni sulla vita, ammesso ci siano mai state, sono scadute. Speriamo non debba mai arrivare il momento in cui, nell’emergenza inattesa, scopriremo di essere soli responsabili di noi stessi.