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 2021  settembre 13 Lunedì calendario

Il punto sul dopo Merkel

C’
è chi ha scritto che la campagna elettorale per il voto del 26 settembre è la più noiosa della storia di Germania. Ce ne vuole, perché viste dall’Italia le elezioni tedesche sono sempre noiose: poche polemiche pretestuose, programmi elettorali che vengono passati ai raggi X da giornali e trasmissioni tv, pacati dibattiti in cui le battute sono scarse e i partecipanti fanno a gara per sembrare uno più competente dell’altro. Quest’anno, è vero, al quadro generale si è aggiunto un elemento che non ha giovato alla brillantezza della competizione: tre candidati che si sono rivelati di assai dubbio carisma.
Uno, quello che sembra oggi avere il sopravvento, il socialdemocratico Olaf Scholz, ha fatto del suo limite una scelta precisa: sfruttare le caratteristiche di sobrietà e concretezza fino al grigiore, per inserirsi nella scia di immagine della cancelliera uscente, tutta sostanza e niente fronzoli. Per un servizio fotografico ha posato nella posa della cosiddetta Raute, con le dita di fronte a sé poste a rombo, secondo l’ormai iconica immagine di Angela Merkel. Per la fase decisiva della campagna ha scelto (...)
(...) di accompagnare il suo volto a uno slogan quasi paradossale: «Er kann Kanzlerin», anche lui sa fare la cancelliera (al femminile).
È la prima volta dal Dopoguerra che un cancelliere uscente non si ripresenta per la rielezione e Scholz ha cercato (all’apparenza riuscendoci), di impadronirsi del cosiddetto Kanzlerbonus, il piccolo vantaggio che da sempre i tedeschi riconoscono a chi ha già dimostrato di saper stare al timone dello Stato, di solito, appunto, il Cancelliere. In assenza della timoniera Angela (che secondo tutti i sondaggi vincerebbe il voto del 26 a mani basse), si può ripiegare su Scholz, Ministro delle Finanze in carica, che può mettere in luce così la sua esperienza di governo. Il gioco dell’«io sono come la Merkel» si è spinto a tal punto che il settimanale Der Spiegel ha beffardamente titolato un ritratto del favorito socialdemocratico con un eloquente «Angela seconda».
L’interessato non avrà fatto una piega: i giornalisti lo ritraggono come un uomo freddo, perfino un po’ rigido («Scholz-o-matic», è uno dei soprannomi), con pochi momenti di trasporto emotivo. Alla Cancelliera uscente viene riconosciuta una simpatia e un’allegria naturale che si esprime tra gli amici e nei momenti di tempo libero (famose sono le sue imitazioni; la più riuscita, pare, quella di Papa Ratzinger). Nulla del genere è noto invece per il tetragono Scholz. Avvocato, nato a Osnabrück in Bassa Sassonia, sposato senza figli, ha legato la sua carriera politica ad Amburgo, di cui è stato sindaco per sette anni. E la provenienza amburghese è uno dei punti di contatto con Helmut Schmidt, unico altro ministro delle Finanze a diventare cancelliere.
DIFFICILE RECUPERO
A favorire la corsa di Scholz, si è detto, sono state le gaffe e i passi falsi dei suoi rivali. In primo luogo la Verde Annalena Baerbock, partita tra cori di consensi e poi arenatasi tra accuse di plagio e l’incapacità di parlare alla pancia del Paese. Quanto ad Armin Laschet, il cristiano-democratico, quello che dovrebbe essere il vero successore della Merkel, le sue risate mentre era alle spalle del presidente Steinmeier, impegnato nel discorso ai sopravvissuti all’alluvione, restano un caso di scuola nel genere degli autogol politici.
Chi lo difende parla della sua capacità di recupero politico: in altre circostanze era stato dato per spacciato e poi è riuscito a cavarsela. In molti, poi, pur sottolineando le sue mancanze, tendono a spiegare le deludenti performance della Cdu con il contesto politico, piuttosto che con fattori personali. La politica tedesca degli ultimi tre lustri non ha gravitato intorno al partito di maggioranza e ai principi cristiano-conservatori a cui si ispira, quanto piuttosto intorno alle capacità manovriere della Cancelliera. Il suo fenomenale istinto politico l’ha portata a occupare il centro della scena, anche grazie a concessioni (dall’abbandono del nucleare alla legislazione sulle nozze gay) che poco o nulla avevano a che fare con la vecchia anima del partito. La Cdu della Merkel ha seguito e interpretato con grande efficacia i cambiamenti dell’elettorato tedesco di questi anni, ma sta anche vivendo una crisi di identità che forse incide sulle attuali previsioni elettorali.
Tra gli esempi di quanto detto fin qui c’è una delle promesse che i socialdemocratici hanno fatto con maggior forza durante la campagna: l’aumento del salario minimo garantito. Potrebbe essere il classico discrimine tra destra e sinistra, in grado di mobilitare l’elettorato conservatore. Il problema è che il salario minimo è stato introdotto nel 2015 proprio dalla Merkel e questo toglie mordente e possibilità di manovra all’odierna Cdu.
CRISI GENERALE
C’è da dire che, nonostante la Spd sia in testa nei sondaggi, la crisi non risparmia nessuno dei grandi partiti. La realtà con cui la politica tedesca ha iniziato a fare i conti da qualche tempo è la frammentazione: nelle elezioni del 2005, le prime della Merkel, Spd e Cdu si divisero da soli il 63% dei voti. Oggi, se le previsioni si riveleranno esatte, l’ammontare complessivo dei consensi dei due partiti messi insieme supererà a malapena il 45%, con una Spd a cui è attribuito un 25% scarso e una Cdu attestata intorno al 21%.
Nelle ultime quattro legislature la formazione del governo è stata una partita a due: per tre volte il governo è stato formato da una Grosse Koalition (Cdu/Csu e Spd) e in una circostanza (secondo governo Merkel dal 2009 al 2013) i cristiano-democratici andarono al potere con i liberali dell’Fdp. Ora tutto fa pensare che i numeri non bastino più e che, per la prima volta dagli anni Cinquanta, il nuovo esecutivo sarà frutto di una coalizione a tre. Il parto potrebbe essere complicatissimo. Per mettere insieme socialdemocratici e democristiani e arrivare alla firma del Cosiddetto Koalitionsvertrag (contratto di coalizione) dopo le elezioni del 2017, ci vollero quasi sei mesi di estenuanti trattative. Adesso potrebbe essere perfino peggio.
Gli unici partiti esclusi dal gioco saranno Alternative für Deutschland (la destra) considerata impresentabile, e la Linke (ex comunisti e sinistra estrema). A dir la verità, per quanto riguarda questi ultimi, la Cancelliera in carica, in uno dei suoi pochi interventi in campagna elettorale, ha criticato Scholz, proprio per non aver escluso a priori un governo con la Linke. Il socialdemocratico ha ribattuto che spetta agli elettori decidere, ma, viste le differenze nei programmi elettorali (basti pensare al ruolo della Nato, che la Linke rifiuta come un relitto del passato), sembra concretamente impossibile un suo qualche coinvolgimento a livello governativo.
GIOCHI FATTI
Se si eccettuano le ali estreme, i giochi comunque sono tutti da fare. E le ipotesi sul tappeto si sprecano, anche perché a livello locale (vedi anche l’altro articolo in pagina) i partiti hanno dimostrato di saper trovare alleanze a tutto campo.
Fino a qualche settimana fa, quando la Cdu sembrava mantenere il suo ruolo di primo partito l’alleanza che gli analisti consideravano più probabile era quella tra neri e verdi (i neri sono democristiani di Cdu e Csu). Un’ipotesi alternativa prevedeva l’intervento anche dei «gialli», i liberali della Fdp. Il risultato sarebbe che viene chiamata coalizione «Jamaica» (dai colori della bandiera del Paese caraibico).
Se invece i socialisti dovessero mantenere il vantaggio attribuito loro dai sondaggi la coalizione più probabile diventerebbe il cosiddetto «semaforo»: i rossi della Spd con Verdi e gialli liberali. Ma non sarebbe nemmeno esclusa la cosiddetta coalizione Germania (anche qui c’entrano i colori della bandiera) tra Cdu/Csu con Spd e liberali.
In questo scenario di trattative a tutto campo, un po’ all’italiana, si rischia tra l’altro di perdere di vista un fatto: anche se si parla di voto del 26 settembre, in realtà i giochi potrebbero essere già (in parte) fatti. Dalla seconda metà di agosto si è aperto il voto postale. Nel 2017 il 28,6% dei tedeschi preferì evitare la cabina elettorale esprimendosi in anticipo. In tempi di Covid la percentuale potrebbe esplodere. E il nome del prossimo cancelliere è forse già scritto.