Specchio, 28 agosto 2021
I due studenti nazisti e i raid firmati Ludwig
La nostra fede è il nazismo, la nostra giustizia è la morte, la nostra democrazia è lo sterminio. Il fine della nostra vita è la morte di coloro che tradiscono il vero Dio». In Italia, i purificatori di anime entrarono in azione del 1977 e per sette lunghi anni sparsero il terrore. Certo, non in tutto il Paese ma in quei mondi sommersi, emarginati che i purificatori volevano colpire. Mondi affollati di prostitute, omosessuali, schiavi del porno, tossicodipendenti e affini, insomma realtà persino lontane dal provincialismo del giusto e sbagliato, essendo profondamente ammorbate dalla radice profonda del male. Questi erano gli ultimi, i dannati, gli indegni. Esseri peccatori che per il loro agire nella brutalità degli istinti, improbi nell’assecondare gli istinti più miserevoli e miserecondi, andavano perseguiti ed eliminati. Peccatori che affliggevano il mondo con la loro semplice presenza e meritavano solo la morte.
Questo, almeno sentendo loro, ovvero, ascoltando due ragazzi della normalità veronese, cresciuti a educazione borghese e letture, in quella realtà complessa, asimmetrica, che è Verona, bigotta, radicale e anarchica in un solo battito di cuore. Wolfgang Abel e Marco Furlan, eccoli i nomi dei due studenti, il primo di appena 19 anni, il secondo più vecchio solo di un anno quando i loro destini si incrociano per spargere panico e odio e sangue. Ma come nessuno conosce i nomi delle loro vittime, così i più hanno resettato la loro anagrafe per lasciare nel profondo della memoria collettiva la sigla che si ritrovava a epitaffio di ogni raid omicida: Ludwig. Una vocazione che la criminologia indica come "missionaria", con l’assassino che si sente profondamento intriso dalla vocazione di rendere il mondo migliore.
In pochi anni Ludwig colpisce nel Triveneto, da Verona a Trento, Padova, Venezia e Vicenza, ma secondo le prime indagini si spingono anche a Milano e oltralpe fino a Monaco. Genuflessi al rigore delle regole, alla geometria prospettica del bene e del male, la pulizia morale diventa la loro vocazionale missione, al punto che vengono loro attribuiti ben quindici omicidi in sei anni, portandoli nell’olimpo nero dei serial killer in coppia che hanno agito nel nostro Paese. In realtà la loro azione purificatrice è miope e raffazzonata. Tra le vittime si contano 13 maschi e due donne. Nel primo gruppo spiccano religiosi (3) e camerieri (2) ma anche prostitute e studenti, frequentatori di cinema porno (6) e drogati (2).
Vengono uccisi arsi vivi nel cinema, accoltellati con lame, accette e punteruoli e martelli. Senza pietà. L’agguato viene ordito senza particolare preavviso: l’auto di una prostituta, il cinema a luce rosse, un’abitazione "immorale" da ripulire, diventano perimetro della redenzione, dell’operazione di pulizia e anche, ovviamente, da rivendicare. Anche perché in quegli anni i volantini sporchi di sangue a firma e paternità dei raid dei purificatori si ripetono, con le vittime coperte anche dal dileggio, perfino dall’infamia dell’offesa, ben oltre la rupe del già perfido omicidio.
Ludwig diventa l’emblema del terrore, ma colpendo determinate categorie sociali, gruppi, identità, in chi si sente nel mirino provoca il cinico sentire del telespettatore affrancato dalla paura di vedersi coinvolto. E così, mentre mezzo Paese segue le gesta con il cuore in gola temendo altre vittime, l’altra metà assomiglia più a una spettatrice che serializza la violenza per capire come andrà a finire.
E, finalmente sempre troppo tardi, quando vengono colti con il cerino in mano, pronti a incendiare la discoteca Melamara a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, callido teatro di scempio delle virtù, negano di essere Ludwig per evitare di venire schiacciati e sparire sotto le responsabilità penali accumulate dai tanti, troppi eccidi. Furlan si stava per laureare in fisica, mentre Abel già si era laureato in matematica a Monaco, riscuotendo un ottimo 110 e lode.
Portati davanti a un commissario, cercano di smussare, sminuire, ridurre la portata stragista del loro gesto: «Volevamo solo – affermano - fare uno scherzo, vedere come ballavano con le fiamme». Ed è Abel a puntare l’indice, a sbottare e rivendicare la missione: «A frequentare quella discoteca – sibilerà – una mia amica ha iniziato a drogarsi». E quindi a uccidersi, in una dimensione di responsabilità che è scevra e immune dall’azione persecutoria affidata allo Stato, e quindi va rivendicata dai purificatori per pareggiare quell’indispensabile e attesa resa dei conti.
Nell’analisi della psicodinamica emerge che entrambi patiscono difficoltà relazionali, chiusi nelle torri d’avorio delle loro certezze, evitando la socialità intensa nel senso più ampio e migliore del termine. Non tutto è dovuto alla genetica del loro dna, anzi a scavare nei rapporti familiari emerge un’aridità in entrambi i nuclei. Genitori assenti e distratti. Genitori e parenti che hanno lasciato crescere questi due bambini e adolescenti e poi ragazzi e giovani e uomini senza quell’indispensabile ragnatela di affetti, ascolto e considerazione. Ovvero senza quella bussola pedagogica che indica la strada, distingue il chiaro dallo scuro, il giusto dallo sbagliato. No, qui è tutto ridotto alla distanza, all’abbandono. All’assenza di figure, ruoli e responsabilità.
Eppure, Furlan è figlio di un noto e apprezzato chirurgo estetico, Abel di un assicuratore tedesco: crescono come erba selvatica. Da compagni di banco a scuola entrano in confidenza, fiducia e complicità. Un’unione sulla quale si spendono i pettegolezzi in città che però non li scalfiscono. Nella "Verona bene", ci sono i ragazzi che usano auto da sogno in una vita patinata, poi Abel e Furlan: snobbano i locali notturni, girano in bicicletta, evitano la mondanità. Anzi, la condannano e piano piano iniziano persino a odiarla. Fuggono dai riti dei loro coetanei, si misurano nel silenzio della natura che cercano in lunghe e solitarie passeggiate. Ludwig ancor prima di uccidere evita i rapporti sociali, i confronti con gli altri. Il perché è uno solo: la società contemporanea inquina e contamina. Da qui l’idea di «ripulire il mondo dai diversi, emarginati e viziosi».
Abel rappresenta il fulcro, il leader rispetto a Furlan. Da parte sua, quest’ultimo, è pure studente intelligente, si applica negli studi, mostra acutezza nelle analisi e nella rapidità di valutazione, ma si lascia "portare" da Abel. E così, dall’interrogatorio della perfida coppia, si evince subito come Abel assuma il ruolo trainante, relegando Furlan a quello di aiuto, di persona psicologicamente manipolata dalla follia purificatrice inneggiata dall’amico.
Abel è il vero motore emotivo e concreto. Individua, sobilla, incita e pianifica. Al punto che, arrivati alla resa dei conti con lo Stato, ristretto in una cella, persa l’alchimia della leadership e inghiottito dalla realtà finora evitata, si chiude nel mutismo più assoluto e per tre volte tenta invano il suicidio. Ludwig non trova la dimensione epica per concludere la sua mitologia nera, relegando i due purificatori a un’umanità di certo per loro banale che li vede condannati a trent’anni di carcere, ridotti a 27 in appello.
Ma in questa storia rimane sospeso un bivio micidiale: i giudici, infatti, hanno sempre fatto prevalere l’elemento di follia nella coppia. L’adesione emotiva al nazismo è stata cioè sempre interpretata come una deriva di quella semi-infermità attribuita ad entrambi. Solo in un ultimo periodo, nella rivisitazione dei fatti, alcuni analisti hanno iniziato a chiedersi se le loro gesta abbiano ricevuto la corretta classificazione. O se invece queste vadano attribuite in qualche misura alla teorizzata "strategia della tensione" che ha segnato i peggiori decenni della nostra repubblica del secolo scorso.
La risposta è ancora acerba, ma l’analisi di Saverio Ferrari nel suo I nazisti di Ludwig e il rogo del cinema Eros (Unaltrastoria, Red Star Press, pp. 122, euro 13) non può essere sottaciuta. Le testimonianze raccolte, le coincidenze e le sovrapposizioni degli intenti impongono in qualche modo la domanda se Ludwig fosse o meno una sigla, una struttura nel panorama dell’estremismo di destra. Di quello che filtrava con pezzi sommersi dello Stato, della nostra peggiore intelligence in un gioco di morte.
La verità sarebbe attesa e voluta. E non solo dai parenti delle vittime dai nomi sconosciuti a tutti, ma soprattutto da chi è ben consapevole che, senza una rilettura profonda di quanto accaduto in quegli anni, si può immaginare la chiusura di una delle pagine peggiori del nostro Paese. «Il potere di Ludwig non ha limiti. La fine della nostra vita è la morte di coloro che tradiscono il vero dio».