la Repubblica, 12 luglio 2021
Su "Facebook. L’inchiesta finale" di Sheera Frenkel e Cecilia Kang (Einaudi)
"Un’orribile verità", potrebbe essere tradotto così il titolo del libro rivelazione sui panni sporchi di Facebook in uscita la prossima settimana negli Stati Uniti: guerre intestine, capi che non si fidano gli uni degli altri, rapporti meno che trasparenti con la politica Usa, incontri al vetriolo e scandali insabbiati. Ci sono voluti mesi di lavoro e interviste a oltre 400 tra ex e attuali dipendenti con ruolo a tutti i livelli dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg per arrivare alle rivelazioni di A Ugly Truth, "dentro la battaglia per il dominio di Facebook", che porta la firma di due giornaliste del New York Times esperte di tecnologia e industria digitale, Sheera Frenkel e Cecilia Kang.
Al cuore del racconto, di cui il NYT pubblica una lunga presentazione, il rapporto disfunzionale tra Zuckerberg e Sheryl Sandberg, la ex vicepresidente di Google arruolata dal fondatore nel dicembre del 2007, quando Facebook era ancora un’azienda piccola con qualche centinaio di dipendenti. Il colpo di fulmine era nato a un party natalizio, quando lei era in piena crisi di carriera a Google e lui cercava vie per mettere a profitto su larga scala la visione tecnologica del suo sito nato nelle stanze universitarie di Harvard.
In questi anni Sandberg ha rappresentato almeno sulla carta il volto "politico" di Facebook, o almeno questo era uno degli asset che l’avevano attirata nell’orbita di Zuckerberg, che di sé ha sempre offerto l’immagine di un alieno della vita pubblica, annoiato dai giochi della politica e scarsamente propenso al rapporto empatico con il pubblico e lobbystico con i potenti. Ma che qualcosa di molto profondo si fosse rotto nel gioco dei ruoli della coppia di potere di Facebook - anzi che la "coppia" probabilmente non fosse mai stata tale e comunque il potere si fosse nuovamente concentrato solo nelle mani del fondatore - si è capito all’indomani del traumatico assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso da parte dei sostenitori di Donald Trump.
Un evento che ha messo a nudo i nodi irrisolti e le sempre più gravi responsabilità del social network più grande del pianeta, divenuto canale di polarizzazione delle posizioni politiche e, peggio ancora, base di lancio, organizzazione e propagazione di azioni illegali e violente. Come è appunto accaduto alla vigilia, durante e dopo l’assalto a Capitol Hill quando nei gruppi più o meno privati pro-Trump sono stati dati appuntamenti, diffusi aggiornamenti in tempo reale, lanciati appelli alla violenza contro i politici intrappolati negli uffici del Congressso. Il tutto senza che dal social si muovesse un dito per limitare i danni.
Ma è proprio il modo in cui Facebook è progettata ad aver reso possibile un tale precipizio: ad esempio, l’enfasi sulle interazioni a prescindere dal loro contenuto, e sulla creazione di gruppi di persone che la pensano allo stesso modo, sempre più isolate dagli altri anche grazie all’importanza crescente attribuita ai gruppi privati. "I problemi di Facebook non sono dei bug, sono sue caratteristiche tecniche", dicono Frenkel e Kang. E non è un caso che per anni Zuckerberg si sia rifiutato di intervenire su quelle che considerava libere manifestazioni del pensiero, ed erano in realtà formidabili propellenti di interazioni, traffico e denaro, oltre che vettori d’odio.
Il libro delle giornaliste del NYT mette in luce il ruolo sempre più marginale di Sandberg in questo quadro, e il suo crescente disagio rispetto alle scelte sempre più isolate e accentratrici del socio. Dopo gli eventi del 6 gennaio, Sandberg rispose alle critiche a Facebook negando ogni responsabilità e rovesciando su piattaforme "minori" le colpe di aver creato il clima d’odio e le basi organizzative dell’assalto. Una risposta che le valse moltissime critiche e fu poi smentita immediatamente dalle evidenze portate nelle aule del Congresso con la successiva inchiesta parlamentare.
Nel libro si racconta che, nonostante le apparenze, e il mantenimento di abitudini formali come gli incontri bisettimanali e lo "sparring" delle dichiarazioni in occasioni pubbliche, il rapporto tra Zuckerberg e Sandberg è cambiato negli ultimi anni. Zuckerberg "è meno influenzato dalle opinioni di Sandberg". Il CEO di Facebook è anche "critico del modo in cui aveva gestito le pubbliche relazioni" all’indomani dello scandalo di Cambridge Analytica, con la gigantesca retata di dati privati destinati alla campagna elettorale di Donald Trump per la Casa Bianca.
Proprio l’elezione di Trump viene indicata nel libro come il punto ultimo di frattura tra Zuckerberg e Sandberg. Lei, ardente democratica con forti contatti nell’entourage di Hillary Clinton e Barack Obama, si trova spiazzata e di fatto depotenziata: non solo la si racconta silente e inattiva durante i pochi incontri con il nuovo presidente, ma di fatto scavalcata nel suo ruolo di ufficiale di collegamento con la politica di Washington dallo stesso Zuckerberg, che instaura con Trump un rapporto diretto e all’apparenza proficuo. Quando Zuckerberg nel 2019 si rifiutò di cancellare da Facebook un video manipolato in cui si vedeva la speaker della Camera Nancy Pelosi che biascicava, all’apparenza incapace di intendere e di volere, e poi rivendicò in un discorso alla Georgetown University la scelta di offrire al pubblico una piattaforma "senza filtri", un "quinto Stato" libero da censure, sul tavolo di Sandberg sono fioccate email di protesta e preoccupazione, racconta il libro, ma lei le ha inoltrate ad altri partner - come il capo della comunicazione Nick Clegg - apparentemente incapace o non intenzionata a farsene carico. Pochi giorni prima, dice il libro, aveva inutilmente tentato di far eliminare il video, ma era stata sconfitta dalla linea Zuckerberg.
La portavoce di Facebook Dani Lever smentisce con forza le rivelazioni del libro, e afferma che dagli estratti che ha potuto visionare gli autori espongono una "falsa narrazione basata su interviste selettive, molte fatte a individui scontenti, e su fatti raccolti in modo parziale". "Il ruolo di Sheryl nell’azienda non è cambiato", dice Lever, che inserisce anche l’accusa di sessismo: "Gli estratti sono tipici degli attacchi alle donne leader - negano il loro potere, sminuiscono le loro competenze e marginalizzano i loro ruolo e relazioni". Sta di fatto, notano le giornaliste autrici del libro, che ormai in pubblico Sandberg parla ormai solo di bilanci e profitti. La politica, a quanto pare, non fa più bene a Facebook: "La gente non vuole vedere le proprie pagine invase di liti faziose". E a dirlo, naturalmente, è Mark Zuckerberg.