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 2021  agosto 19 Giovedì calendario

In Canton Ticino con la figlia di Achille Castiglioni

Che Achille Castiglioni, uno tra i nomi più importanti nella storia del design, avesse una casa di vacanza varcato il confine del Canton Ticino è cosa nota solo a pochi. I mesi estivi e i fine settimana trascorsi quasi sempre qui, a Morbio Inferiore, piccolo borgo svizzero che di primo acchito non fa capire il motivo per cui un maestro del progetto potesse ritenerlo tanto attraente. Eppure anche sua figlia Giovanna, oggi vice presidente della Fondazione dedicata al padre, di questo luogo era ed è ancora innamorata. 
«Non è collina, non è campagna. Non c’è praticamente niente, e la sensazione è di un posto quasi inutile. Eppure al papà piaceva. L’idea di lasciare la città, passare il confine – allora ci si spostava pochissimo e andare in Svizzera da Milano sembrava un viaggio – e vedere tutto più ordinato lo faceva sentire già in vacanza», rievoca lei, aprendoci le porte di questa casa semplicissima, datata 1974, dalla facciata grigia incastrata in una corte, ma che dietro si amplia e svetta su un piccolo declivio con tanto di torrente, prati e boschetti. 
«Io sono cresciuta qui, dove potevo scorrazzare a mio piacimento nella natura. Sguazzavo nel ruscello, mi infangavo, ne combinavo di tutti i colori. Ero libera», rievoca Giovanna. Nata quando i genitori non erano più giovanissimi e i fratelli maggiori ormai slegati dalla famiglia, in quei periodi trascorsi a Morbio Giovanna era la piccola tra i grandi: mamma e papà e gli amici più cari, al primo posto il grafico Max Huber e la moglie giapponese Aoi Kono, grazie ai quali i Castiglioni conobbero Morbio. «Abitavano vicino e con loro i miei genitori avevano una frequentazione costante», rievoca. «Eppure questa casa diventò subito il loro nido, il luogo dove il papà sgombrava la mente e si occupava della mamma».
Un’abitazione rurale, senza fronzoli, ricavata da un piccolo setificio poi diventato garage: «È stata la prima e ultima architettura “domestica” del papà. Lui non era interessato a questo aspetto progettuale. Come non lo era all’interior, a meno che non fosse casa sua», svela Giovanna, mostrando il soggiorno e la cucina, scarne ma non monastiche, costellate di giochi e sagome di animali. Che raccontano in modo intimo quel senso del divertimento leggero, sempre ben presente nel Castiglioni designer. Ovunque spiccano credenze e buffet in legno dal curioso stile senza epoca. «Erano mobili di mio nonno, che li aveva commissionati ai reduci di guerra. Papà li abbinò a dei pezzi chiesti a Gio Ponti e ad altri presi all’Ikea svizzera, che allora qui c’era già».
Salendo, ecco i due piani con le camere sempre abbinate a un piccolo bagno: «Ciascuno di un colore diverso, fissazione di papà», sorride lei. Colori che tornano anche nelle stanze da letto: la matrimoniale, in cui domina al centro una putrella rossa («Erano due piccole camere divise da un muro portante. Così il papà, per unirle, decise per una putrella. Ma decorativa»), la stanza di Giovanna, piena di giochi e ribassata. «Così dal gradino potevo lanciarmi sul letto», rievoca lei di quelle vacanze allegre. I tuffi in piscina con Max Huber che la incitava, il calcio dato nella foga a papà che rimediò la frattura di due costole, il gioco degli aquiloni, la mamma che si divertiva con Aoi Huber a cucire pupazzi di stoffa: giornate semplici. «Lontane da ogni formalismo e dai lussi, che mio padre aborriva. Il divertimento era anche andare al supermercato svizzero a fare la spesa e mangiare bratwurst e roesti tutti assieme».
Amici, pochissimi («Oltre agli Huber, solo Bruno Munari e un giovane Mario Botta»), bambini nessuno, eccetto qualche ragazzino del posto «invitato dalla mamma che gli insegnava a nuotare in piscina». La gioia di quelle giornate spensierate trapela dal racconto di Giovanna, che si lancia a rievocare lo stesso gesto del padre, immortalato alla finestra della cameretta della figlia mentre saluta gli amici sventolando una pecora di peluche.
Le vacanze trascorse qui per Giovanna sono proseguite fino a poco tempo fa. Oggi la casa, a malincuore, è in vendita. «Continuare a tenerla è impossibile. Per me, forse, è anche il senso di una cesura con il passato», sospira lei, che però ipotizza un altro scenario: «Mantenerla così, intatta. E trasformarla in un luogo di ospitalità “alla Castiglioni”. Magari qualcuno potrebbe essere interessato a farlo...». Rilanciando così un tipo di vacanza all’antica, fatta di piccole cose. Per scoprire, chissà, che è ritornata attuale.