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 2021  agosto 15 Domenica calendario

Quando scoprimmo le terre rare

C’è stato un anno – sostiene Sophia Kalantzakos – in cui le terre rare hanno smesso una volta per tutte di essere semplicemente 17 elementi chimici e sono diventate a pieno titolo oggetto di contesa tra potenze e superpotenze. Non più materie prime indispensabili nell’era dell’intelligenza artificiale, sostanze che in quantità infinitesime innescano processi di portata globale, ma il nucleo del groviglio di geopolitica, tecnologia ed economia che avviluppa Stati Uniti, Cina e anche Unione Europea. L’anno in questione è il 2010, quando in settembre Pechino reagì a una crisi un po’ più grave del solito con il Giappone circa la sovranità sulle minuscole isole Diaoyu/Senkaku dimezzando l’esportazione delle terre rare. La produzione di microchip, di componenti essenziali per l’informatica ne risentì in modo drammatico, la diplomazia si attivò, si recuperò una certa normalità ma nulla fu più come prima. Perché si comprese davvero che cosa significa se un solo Paese «monopolizza almeno il 93% di questi materiali». E si tratta, appunto, della Cina.
Terre contese, terre rare. Nata ad Atene, la professoressa Kalantzakos della New York University firma T erre rare. La Cina e la geopolitica dei minerali strategici (traduzione di Giuseppe Barile, Bocconi Editore, pp. 273, e 28), volume nel quale sostiene la tesi che queste «offrono un case study saliente di come la competizione per le risorse modellerà la politica internazionale nel XXI secolo», illuminando vantaggi e rischi della cooperazione o del confronto, le seduzioni dell’accomodamento e il brivido dell’azzardo. Soprattutto, però, vanno affrontati «gli interessi e le aspirazioni del mondo in via di sviluppo dove molti di questi elementi sono concentrati» e verso i quali Pechino indirizza la sua capacità di penetrazione. Dunque, la partita delle terre rare si intreccia con il dibattito sui neocolonialismi e sulle diseguaglianze, con la crisi ambientale.
Terre rare, terre care. Se la Banca Mondiale l’anno scorso avvertiva che entro il 2050 la produzione di cobalto e di litio dovrà quintuplicare soltanto per soddisfare l’esigenza di energia pulita, lo stato delle cose attuale dice – per esempio – che già ora i tre quarti delle batterie di litio sono made in China e che il 60% della produzione mineraria di cobalto proviene dalla Repubblica democratica del Congo, dove il ruolo di Pechino è dominante. E ancora: mentre l’America importa «l’80% degli elementi di terre rare direttamente dalla Cina» e «parte del restante 20% proviene indirettamente dalla Cina passando per altri Paesi», si stima che il settore dell’intelligenza artificiale nella Repubblica popolare crescerà del 30% e più ogni anno per superare i 17 miliardi di dollari nel 2024.
Ecco, allora, il rebus, il paradossale dilemma di un contesto nel quale la lista dei materiali considerati critici si allunga: terre rare e affini sono indispensabili al «bene più grande, ossia la decarbonizzazione dell’economia, e nello stesso tempo sono indispensabili per il primato tecnologico, che è diventato il terreno di scontro della competizione geopolitica».