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 2021  agosto 10 Martedì calendario

Il diario del giovane Montale

E allora «sbirciamo» anche noi, come diceva l’Eugenio Montale ventenne che leggeva moltissimo ma spesso gli bastava «sbirciare» per cogliere il senso di un libro: «Sbirciai l’altro ieri da Ricci (libraio) una Letteratura Italiana di un signor Karl Wossler. Esilarante e scandalosa. Parla del futurismo come un cuoco analfabeta. Questo libello esiste anche in Biblioteca. Disgraziatamente». Così scriveva nel 1917 nel suo diario il futuro premio Nobel, di cui il prossimo 12 settembre ricorrono i quarant’anni dalla morte. Un quaderno di scuola a righe di 19,5 centimetri per 14,5. Torna oggi, riproposto con il titolo Quaderno genovese, un diario del 1917 curato da Laura Barile e pubblicato da Il canneto editore. 
Già lo aveva perentoriamente inquadrato Gianfranco Contini nel suo «risvolto di sovracoperta» per l’edizione Mondadori del 1983 e ora stampato in appendice nella nuova edizione: «…Montale annota frugalmente i fatti della sua vita interna, e specialmente culturale, nei mesi in cui egli attende la chiamata al servizio militare (e cioè in guerra), dal febbraio all’agosto 1917. Qui si conoscono finalmente le sue avide, immense letture in integro o per veloce “sbirciamento” nonché i programmi delle sue audizioni musicali. È un oceano di carta stampata, vertente per lo più sull’Ottocento, quale si poteva delibare in una città di provincia, per mediazione italiana o francese (il debito mentale verso la Francia è esplicitamente sottolineato)… I giudizi, che nella loro candida perentorietà, e nel no e nel sì, sorprenderanno retrospettivamente molti lettori, hanno comunque una spina dorsale ben netta, procedente dalla linea Poe-Baudelaire-Rimbaud con la giunta di Whitman». 
La «città di provincia» è la Genova dove Montale nasce il 12 ottobre 1896 alle undici di sera in corso Dogali; viene bocciato in terza all’istituto tecnico; ottiene poi la licenza di ragioniere; prende lezioni di canto con l’idea di diventare un «baritono celebre»; comincia a frequentare assiduamente la Biblioteca Berio: «Da due giorni in Biblioteca (portici)… vendita di zucchero, affollamento e impossibilità di entrare». 
Il giovane Montale è disgustato dal mercato nero che deturpa l’ingresso del Palazzo dell’Accademia, sede dei suoi studi privati. I commercianti illegali li chiama «spacciatori». È uno dei pochissimi riferimenti al momento che il suo Paese sta vivendo: la Grande guerra, sembra non importargliene più di tanto. Eppure lui farà il suo dovere militare (dopo essere stato tre volte dichiarato «rivedibile per debole costituzione») con onore. Il diario s’interrompe proprio quando parte per il «corso accelerato» come allievo ufficiale. A Parma incontrerà il commilitone Sergio Solmi, poeta e critico letterario, che scriverà di lui su «La Fiera Letteraria»: «…d’ordinario silenzioso, s’apriva talvolta per parlarmi, con quel suo umorismo malinconico e imperturbato, non privo di una sottile punta di fumisteria, della sua “bohème” genovese…». 
Ora che è in guerra Montale interrompe il diario. Il mondo genovese fatto di libri e di cantanti d’opera è alle sue spalle. 
Gli sembra ieri quando annotava festoso: «L’altro giorno divorai per intero Sagesse di Verlaine. Il colossale capolavoro! È la terza volta (o la quarta?) che lo rileggo; e sempre più l’ammiro». 
O, come diceva lui, «divagava» così: «Ma che nessun criticozzo si sia mai accorto della sublime bellezza dell’Aminta del Tasso? Vien lodata, sì anche lei; ma con le solite frasi generiche delle zuppe tradizionali; anche le paragonano il… Pastor Fido! Nell’Aminta il verso è una pasta fluida e profumata, una polpa voluttuosa, dolce al palato come un sapore inebbriante, come un hascisch incantatore». 
Sicuro di sé, annotava giudizi drastici e già ossuti: «Letto: Balzac: Le curé de Tours, breve romanzo provinciale. Bruttissimo e pesante; ma breve». 
Il suo amore per la Francia delle lettere rimbalza dappertutto: «Papini. La Paga del Sabato. Sciocchezze, ma buonissimo il capitolo: Ciò che dobbiamo alla Francia. Le dobbiamo tutto infatti! Io poi… tuttissimo…». 
Irriverente anche negli elogi, il giovane Montale affronta Stendhal: «Continuo la Chartreuse: che geniale pastiche! Niente lingua; niente ordine; niente misura; niente buon gusto; niente tradizione. Eppure c’è del genio; e diverte, anche, qua e là. Grande elogio questo». 
Presuntuosetto sì ma capace di autocritica: «Vedo che anche l’anno scorso stimavo poco Guerra e pace di Tolstoi. Ora ne sono entusiasta. Come scolpitore di figure non credo che T. possa avere eguali». 
Il ragioniere annoiato dona già a vent’anni prove di poesia, versi privati («Poesia: auto vivisezione psichica», scrive). 
«Il sole che trabocca oltre i monti si schioma in nuvole di luce». 
«Pennellate di nuvole navigano sui tetti». 
«Lucciole. Sopra i pagliai brillano gli ori umidi delle lucciole, minuscoli zolfanelli accesi dalle dita della sera». 
«Il vento fischia,/ gli alberi si confondono in mischia./ L’inverno/ ci sogghigna in faccia il suo scherno». 
E anche sull’arte il giovanotto ha idee chiare: «Arte moderna. È un fatto che le lettere tendono sempre più alla musicalità e al colore; mentre la musica e la pittura si avviano in piena letteratura. Questa è una chiave da ricordarsi». 
Dal Quaderno genovese affiora anche un giovane sfiorato dall’accidia ma capace di combatterla strappando da sé una fresca vitalità che lo accompagnerà per tutta la vita. Come saprà combattere un altro avversario: «Non ho che un nemico: la Natura. O la distruggo o m’inghiotte. Così non può continuare. Per ora temporeggiamo; e il nostro disprezzo reciproco è tale che finiamo per stimarci». 
In qualche rigo sperduto tra pensieri letterari, filosofici, morali sempre all’inseguimento di scrittori, poeti, saggisti e musicisti, cantanti e sognatori c’è anche il Montale che va allo «scagno», l’ufficio in lingua genovese, del padre commerciante di «Colofernia-Acquaragia»: «Oggi ufficio mattina e sera da Papà. Gran seccaggine». 
Per fortuna ha cambiato mestiere prima di cominciarlo. Era già chiaro quello che aveva intravisto: «Se nella mia vita non scocca – e presto – una scintilla, io sono un “uomo finito”. Ma quale scintilla?».