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 2021  agosto 10 Martedì calendario

Intervista alla conduttrice Rai Alessandra De Stefano

Alessandra De Stefano, conduttrice del Circolo degli anelli, il programma di RaiSport in onda su Rai2 che ha seguito passo passo le Olimpiadi, ha la voce roca e le unghie lunghe. «Devo fare la manicure, può ben immaginare che in questi venti giorni non ho proprio avuto tempo». Estetica sì, femminilità pure, ma sempre un po’ da giornalista, prima il lavoro. «Comunque ci vogliono rispetto e cura: entriamo nelle case delle persone, bisogna essere sempre in ordine. Ha visto Sara Simeoni? Con lei al trucco e parrucco si sbizzarrivano, capelli su, capelli giù, occhi sempre ben in vista. Lei ha occhi bellissimi, nobili, segno di un animo mobile». Il Circolo degli Anelli è stato la rivelazione di stagione, forse dell’anno. Una trasmissione molto Rai, molto servizio pubblico, cominciata in sordina, che ha continuato a salire, in ascolti e in gradimento. Sono piaciuti lo spirito, la conduzione, il mix di ospiti, i collegamenti dalle case dei vincitori.
Com’è nata l’impresa?
«A RaiSport volevamo fare un programma che seguisse le Olimpiadi, ma prima si pensava di cominciare alle 23. C’erano tante incertezze, il Covid prima di tutto, poi non potevamo sapere che gli italiani sarebbero andati come sono andati. Poi si è deciso per la prima serata, ma così, vediamo come va, una cosa nuova, con una giornalista sportiva, che di solito segue il ciclismo... Infatti Rai2 non ha fatto neanche uno spot di lancio. Poi gli ascolti hanno cominciato a crescere, la Simeoni, Chechi, gli altri ospiti a piacere moltissimo, gli atleti a vincere. La mia idea di base era andare nelle case degli atleti. E attraverso le case, capire le famiglie e i ragazzi. Guardando, osservando. Da piccola soffrivo d’asma, non mi lasciavano mai giocare perché non dovevo sudare: e allora io osservavo molto. Questo spirito me lo sono portato appresso nella vita e mi è molto servito».
Com’era la sua, di famiglia?
«Siamo di Napoli, io sono l’ultima di otto figli, mia mamma è morta giovane, mio papà adorava il ciclismo, e soprattutto Eddy Merckx. Da lui ho preso ad amare questo sport».
Lei ha seguito una trentina di Giri d’Italia e Tour de France, conducendo poi Il processo alla tappa, che fu di Sergio Zavoli: come ci si sente a entrare in un mito?
«Di sicuro il ciclismo è una scuola pazzesca, è tutto complicato, le cose accadono spesso negli ultimi cinque minuti, devi essere pronto. Sempre cercando di capire le persone. Io, con ‘sta famigliona alle spalle, ho una propensione a comprendere, e questo aiuta, nella tv che mi piace. Come faceva Zavoli che intervistava la maglia nera, io dico sempre che bisogna intervistare chi perde, è così che si trovano le storie. Per il Circolo volevo le famiglie perché, anche se in Anna Karenina Tolstoj dice che le famiglie felici si somigliano, non è vero. Gli entusiasmi erano diversissimi, ma in comune la semplicità degli affetti, la banalità del bene. Ecco, volevo raccontare questo, e le 40 medaglie mi hanno aiutato».
Se l’Italia non fosse andata così bene, che avreste fatto?
«Avevamo già delle storie pronte, come quelle di Roberto Carulli, ci sono dei servizi che non siamo neanche riusciti a trasmettere. E’ fondamentale prepararsi prima, perché durante la diretta non c’è tempo. Non avevamo copione, tutti andavano a braccio e facevano le domande che volevano: ma alla base c’era una preparazione solida, anche un po’ maniacale: quando vado in onda devo sapere tutto, almeno, tutto quello che posso. Sono pronta a gestire gli imprevisti. E poi si può anche improvvisare».
Lo dice sempre Renzo Arbore: per improvvisare, bisogna avere le idee chiare e tutto pronto. È d’accordo?
«Certo. Solo così si può essere se stessi, e divertirsi».
Però verso la fine pareva ci fosse più tensione, come se aspiraste pure voi a diventare talk show caciarone. È così?
«Non sono una che vive per gli ascolti, ma è ovvio che condizionano. Siamo partiti piccolini, e abbiamo cominciato a crescere. L’Italia s’è accorta di noi, la pressione è aumentata, i meccanismi sono cambiati. Ma abbiamo cercato lo stesso di svolgere serenamente il nostro compito. Sempre insieme, badi bene: sotto i tavoli tenevano il cioccolato, il nocino, il ciambellone da condividere; e poi a fine programma andavamo a cena, ancora insieme. Questo ci è molto servito».
La diretta, la preparazione, il fuso: quanto dormiva a notte?
«Tre ore. Ma adesso mi riposo un po’. Prima viene qui mio marito, Philippe, che è giornalista pure lui e sta a Parigi. Poi a Parigi andrò io».
La Rai non aveva i diritti per lo streaming, e quindi niente RaiPlay: le è dispiaciuto?
«Mia mamma, che era sarta, diceva sempre: "Quando un vestito fa difetto, bisogna esaltare il difetto". Il fatto che non ci fosse RaiPlay ha aiutato: era come tornare alla vecchia tv, un appuntamento serale fisso, o lo vedi in diretta o niente. Ma ci seguivano tantissimo anche i giovani sui social».
Lei oltre al ciclismo aveva già fatto quattro Olimpiadi: c’è solo sport nel suo futuro?
«Qualche altra idea ce l’ho. Di sicuro vorrei continuare a scegliere le persone con cui lavorare. Ha visto nell’ultima puntata Roberto Bolle e il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, pensi a quanti begli incroci possono nascere, tra cultura e sport, per esempio. Dio è nei dettagli».