Corriere della Sera, 7 agosto 2021
Tortu, il campione ritrovato
Come si dice ossimoro in inglese? Filippo Tortu, bandiera tricolore annodata al collo tipo mantello da supereroe, sta provando a spiegare alla stampa straniera quel surreale stato d’animo sospeso tra emozioni roventi e calma interiore da cui sono scaturiti i 100 metri, gli ultimi della staffetta, più lunghi della sua vita. È lui, un vulcano in eruzione nel petto e i riccetti fradici («Ero tentato di rasarmi a zero prima della finale, meno male che non l’ho fatto: non avrei saputo dove infilare le mani in attesa della conferma del risultato!») il volto dell’Italia che si è passata il testimone senza sbavature, lasciandosi alle spalle il resto del pianeta atletica.
È un fiume in piena, Super Pippo, ha appena conficcato nel tartan della pista la miglior prestazione di una stagione di alti e bassi, confermandosi straordinario animale da gara, e adesso ha voglia di sfogarsi, raccontare. «L’impressione di aver tagliato il traguardo per primo, l’ho avuta subito. Mi sono detto: non è possibile, mi sto sbagliando. Ho trovato Lollo (Patta, il primo frazionista ndr), ci siamo guardati: lo abbiamo fatto davvero? Poi ho alzato gli occhi, ho visto un delirio in tribuna, lo spicchio pieno di azzurri che erano venuti a tifare. Lì ho capito». Un 10”30 a Ginevra il 15 giugno scorso troppo brutto per essere vero (sceso a 10”17 in Diamond League) per il ragazzo che il 22 giugno 2018, a vent’anni appena compiuti, diventava il primo italiano a scendere sotto i dieci secondi nei 100 (9”99), meglio anche di Pietro Mennea. Quel record nel frattempo gli è stato soffiato da Marcell Jacobs, che l’ha ritoccato più volte (l’ultima con il 9”80 che gli è valso l’oro olimpico nello sprint) ma da quel giorno Tortu è stato considerato l’enfant du pays dell’atletica italiana, molto onore e molti oneri che avevano finito per ingolfargli il motore. Eliminato in semifinale nei 100 (10”16), a Tokyo, sul palcoscenico più importante, Filippo ha saputo ritrovarsi con la grinta del campione. «Ho corso lucido, ripetendomi di non indurirmi, di stare rilassato. Mi è sembrato un chilometro, altro che cento metri! Dopo, è successo di tutto. Ho pianto, piangerò ancora, e pensare che io non sono uno che si commuove facilmente». Le prime lacrime sono scese già nel riscaldamento: «Ho visto Davide Manenti, la nostra riserva, l’amico che ho accanto dall’esordio in Nazionale. Poi è arrivato Massimo Stano con l’oro della marcia al collo. Era destino: questa medaglia doveva essere nostra».
Patta, Jacobs, Desalu, Tortu. Ciascuno ha un aneddoto. Faustino, per esempio: «All’entrata dello stadio ho chiesto a Marcell: ti fidi di me? Lui mi ha risposto sì, per fortuna. Ci pensi se mi diceva di no?». Jacobs fa il finto offeso («Vabbè, ma se raccontate già tutto voi, io cosa dico?»), Patta è in estasi («Marcell e Pippo sono persone come noi, ma vanno veloci il doppio...»), Desalu ha una dedica speciale: «Al mio coach Sebastian Bacchieri, che sopporta uno psicopatico come me». Decisivo il tuffo sul traguardo di Filippo: «Mi prendono in giro, mi butto sin da ragazzino: alle Olimpiadi giovanili di Nanchino, cadendo, mi ruppi tutti e due i polsi. Ma ogni centesimo conta e ha dietro una storia di fatica e sacrifici. Questo è un giorno che mi ripaga di tutto. È una medaglia da dividere in quattro parti uguali: il progetto 4x100 è nato ai Mondiali di staffette di Yokohama, nel 2019, dove ci qualificammo all’Olimpiade di Tokyo».
La 4x100 azzurra è giovane (età media 24,25), simpatica, multietnica. Siete la nuova Giamaica, chiedono: «Siamo l’Italia, quattro superstar sotto una bandiera sola» rispondono. Poi ci sono i giornalisti inglesi che vogliono sapere della sfida con la Gran Bretagna. Tortu torna in cattedra: «Ho corso... come si dice sciolto in inglese?».