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 2021  agosto 07 Sabato calendario

Biografia di Fausto Desalu

Eseosa Fostine Desalu, ma chiamatelo semplicemente Fausto. Lui preferisce così. Dice che si fa prima. Si salta tutta la tiritera del ragazzo nero con la tuta azzurra, del come, del quando. Fausto è di origini nigeriane, è nato il 19 febbraio 1994 a Casalmaggiore in provincia di Cremona e fino a 17 anni ha vissuto a Sabbioneta. Italianissimo da sempre, lo è anche per l’anagrafe dal 2012 quando ha potuto finalmente prendere la cittadinanza. Attenzione: il cognome si pronuncia Desalù, ci tiene. «Prima della gara le gambe mi tremavano perché sapevo che tutta l’Italia mi guardava, mi sentivo carico di responsabilità perché sai che deve essere tutto perfetto se vuoi vincere l’oro». Sua madre Veronica fa la badante. Era a Parma, con la famiglia per cui lavora, mentre il figlio riceveva il testimone da Jacobs e cento metri dopo lo consegnava a Tortu. «Sono impazzita di felicità, non vedo l’ora che torni a casa per abbracciarlo».
Come Lorenzo Patta, anche Fausto da piccolo prendeva a calci un pallone. Quando non era al campo e non leggeva i fumetti, suonava l’heavy metal con la batteria. Dalla batteria alle batterie il passo è stato breve. Corre in pista dal 2007 e fa parte del gruppo delle Fiamme Gialle. Il ragazzo ha coordinazione e gambe forti, quando non tremano. Nel 2011 stabilisce il primato allievi nei 60 metri a ostacoli indoor (7”86). Va più forte sui 200: ha un tempo personale (20”13) secondo in Italia solo a quello di Mennea, eppure non è riuscito a qualificarsi per la finale di Tokyo. Era deluso per questo e lo faceva vedere, pur arrotondando l’amarezza con un sorriso meraviglioso. Con la staffetta 4x100, in terza frazione, un po’ inclinato per affrontare la curva, ha ritrovato la gioia. «Siamo un bel gruppo, lo abbiamo dimostrato e lo dimostreremo ancora. Ci siamo sempre fidati uno dell’altro: è questo il segreto che sta dietro a quel centesimo in meno all’arrivo».
È vero, il testimone li ha legati. Sono una brigata, come l’Italia di Mancini. Quando un giornalista dopo la gara gli ha posto la domanda sull’essere il simbolo di una nazione multietnica, non ha dovuto neanche rispondere. Lo hanno fatto Jacobs e Tortu per lui. «Non ci pensiamo proprio ai colori, siamo amici e basta».