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 2021  agosto 06 Venerdì calendario

Intervista a Pierre Rosenberg

«Ricordo ancora i tre giorni in cui giravamo la videointervista nella villa di Mentana: lui riceveva come un principe ». Lui è Federico Zeri, il grande critico che il 12 agosto avrebbe compiuto cento anni. L’occhio implacabile che smascherava i falsi dell’arte e che riconosceva nuovi capolavori. Viveva la sua ricerca lontano dalle accademie, ma senza sottrarsi alle telecamere. Le testimonianze dei suoi interventi si trovano ancora in Rete. Googlare per credere e stupirsi ancora. C’è anche l’incontro con Pierre Rosenberg, ex direttore del Louvre, che nel 1990 andò con una troupe diretta da Edoardo De Gregorio a interrogare «l’uomo che fa tremare i musei del mondo», come lo indicava la stampa francese e non solo. Il “Federico Furioso”, il “Mr Hyde” lo riceve tra epigrafi e cartelline piene di riproduzioni di opere, migliaia di libri ordinati e sparsi intorno. «So qual è il mondo degli artisti per questo li riconosco. Roberto Longhi? Un angelo e un diavolo insieme. Da un lato era un grande, dall’altro un uomo piccolissimo. Ma mi ha insegnato a guardare» confessa Zeri al suo intervistatore. «È ancora un film bellissimo, la testimonianza viva di un uomo eccezionale che non era soltanto un polemista televisivo che molti hanno conosciuto – spiega Rosenberg – In quelle immagini si vede lo storico dell’arte al lavoro. Gli sottoponevo fotografie in bianco e nero e lui metteva in atto il suo metodo di attribuzione. Dare un nome a un quadro presuppone anni di lavoro ».
Professor Rosenberg, davvero Zeri faceva tremare i musei del mondo?
«Si può dire così. Non so se facesse effettivamente tremare i musei, di sicuro faceva tremare il mercato.
Aveva grande coraggio nel rivelare i falsi. Denunciava aspetti che il mercato tendeva a nascondere».
La sua era la forza dell’occhio.
«L’occhio resta l’elemento più importante nella storia dell’arte.
Oggi ci si affida troppo alle ricerche scientifiche che sono importanti, per carità. Ma si rischia di non guardare più i quadri. Si dimenticano le opere, prevalgono altri aspetti. E, sull’onda del politicamente corretto, soprattutto negli Stati Uniti, si mette da parte la storia dell’arte. Si censurano le opere. Questo Longhi e Zeri non l’avevano previsto».
Com’era Zeri nel privato?
«Era un grande personaggio, fuori dal comune anche nella vita di ogni giorno. Veniva tutti i mesi a Parigi a casa dell’editore Dino Fabbri per vedere le mostre e portare avanti le sue perizie. Ogni volta mi invitava a pranzo: era la mia fortuna. Amava raccontare, era interessato agli esseri umani, non solo all’arte. Era un grande affabulatore, sospeso tra la realtà e il sogno. Non c’era bisogno di credere a tutto quello che diceva, ma ti affascinava».
Costruiva il suo personaggio?
«Parlava di Hollywood, di avventure sentimentali passate con giovani attrici di cinema: faceva parte del suo personaggio».
Roberto Longhi è stato il suo maestro e il suo rivale al tempo stesso.
«Zeri si interessava a pittori più eccentrici rispetto a Longhi. Aveva questa capacità di costruire il catalogo di artisti sconosciuti. Li inventava dal nulla con i confronti.
Amava i fiamminghi e la Francia».
Nella videointervista, Zeri le confida qual è per lui il più grande pittore del mondo.
«Sì, Rubens. Io cercavo di prendere le parti di Poussin. Ma lui amava Rubens per la capacità di inventare storie e di renderle vive. Rubens aveva sintetizzato la lezione dei veneti, dei fiamminghi, di Dürer e di Caravaggio. Zeri pensava che il colore fosse più importante della linea. Preferiva il movimento, il dinamismo del barocco rispetto alla staticità del neoclassicismo».
Che eredità lascia Zeri?
«Non aveva allievi. Ma ha fatto qualcosa che Longhi non è riuscito a realizzare: la sua fototeca lasciata all’università di Bologna. È un patrimonio utilizzato dal mondo intero e lo fa sopravvivere tuttora.
Zeri aveva capito che la sua collezione poteva e doveva avere un futuro e così si è preso la sua rivincita su Longhi».
La sua è una figura irripetibile.
«Mi manca Federico Zeri, mi manca la sua presenza. Il suo è un mondo svanito ormai, spero che vengano fuori personalità paragonabili a lui, ma non è facile. In Francia almeno, il mestiere è sconosciuto, non si studia più nei musei».
Bombardati dalle immagini, non sappiamo più riconoscerne la potenza.
«Oggi si fa fatica a capire l’importanza del nostro patrimonio artistico, ad avere la coscienza della nostra cultura visiva. Questo campo è stato abbandonato, eppure riguarda noi, il nostro passato e il nostro futuro».