«Si tratta — scrive Peña Parra — di un meccanismo nel quale si mette il Superiore sotto pressione, spingendolo ad agire in fretta e prospettando eventi catastrofici del tipo: "se non si firma subito si rischia di perdere molti soldi"; "non abbiamo alternativa"; "non si preoccupi, la pratica sta a posto"; "questa è solo una formalità"». Parole durissime, contenute nel corposo memoriale dedicato all’ufficio dei veleni, un documento che il 13 aprile scorso viene inviato a Gian Piero Giuseppe Milano, uno dei promotori di giustizia del tribunale della Santa Sede che sta indagando sulla vendita del palazzo di Sloan Avenue a Londra. All’interno del dossier 25 documenti classificati come "riservati": lettere anonime, contratti, pareri legali, mail che — secondo il Sostituto voluto da Papa Francesco — getterebbero una lunga ombra su come per anni è stato gestito il "ministero degli Interni" della Santa Sede.
Lo sciopero bianco
Edgar Peña Parra viene chiamato da Papa Francesco il 15 ottobre del 2018 con un mandato chiaro: operare una "revisione generale" della Segreteria di Stato. Un compito reso difficile dalle opposizioni interne messe in atto dagli uomini del "sistema". «Rientrava in questo modus operandi — racconta Peña Parra — lo sciopero bianco: di fronte a una mia domanda, si rispondeva con il silenzio o la promessa di dar seguito alla mia richiesta ma in realtà questo non avveniva. Questo modo di fare non riguardava solo l’ordinaria amministrazione, ma anche le grandi decisioni, cioè una vera e propria linea operativa trasversale dell’Ufficio amministrativo della Sezione Affari generali».
La prima linea di questo sistema era occupata da monsignor Alberto Perlasca, l’ex numero due di Becciu divenuto grande accusatore del cardinale. «Nei quotidiani incontri con monsignor Perlasca — racconta il prelato — alla mia richiesta di spiegazioni mi forniva informazioni incomplete o parziali che si limitavano a tentativi di giustificazione delle operazioni in atto».
Anche per questo il cardinale arriva a confessare: «Credo di essermi trovato davanti a un modus operandi sistematizzato», un intreccio clientelare alimentato dai rapporti tra l’ufficio «e i diversi fornitori basati soltanto su un reciproco interesse personale e scambi di favore a danno della Segreteria di Stato».
Il modus operandi di Perlasca
Monsignor Alberto Perlasca non è tra i dieci rinviati a giudizio del processo che si è appena aperto in Vaticano, eppure il suo modus operandi occupa un intero capitolo del memoriale di Parra. Secondo l’arcivescovo l’espressione massima di questo atteggiamento emerge nell’operazione che chiude la vicenda del palazzo di Londra, con l’ingresso nell’operazione del broker Gianluigi Torzi. Peña Parra racconta che il 22 novembre del 2018 Perlasca gli parla dell’opportunità di acquistare l’immobile di Londra, e aggiunge: «Mi riferiva che tale operazione andava realizzata in brevissimo tempo (cioè in soli 7 giorni)». Quando due giorni dopo il Sostituto chiede a Perlasca la documentazione, gli vengono inviati i due documenti chiave della vendita, il Framework Agreement e lo Share Purchase Agreement, che creano i presupposti giuridici affinché Torzi avanzi le sue richieste economiche. Entrambi i documenti sono firmati dallo stesso Perlasca il 22 novembre «e prima ancora che la questione fosse portata all’attenzione del Segretario di Stato e del Santo Padre».
Le lettere anonime
Delazioni, sospetti, tradimenti. Che qualcosa di grave sia accaduto nell’ufficio dei veleni, Peña Parra se ne convince nel febbraio del 2019, quando una lettera anonima viene recapitata sotto la porta del suo ufficio. Al suo interno si parla del "sistema Enrico Crasso", il consulente che per 27 anni ha gestito una fetta delle finanze vaticane, oggi accusato di corruzione, riciclaggio, truffa, peculato, abuso d’ufficio. Secondo l’estensore della missiva «Crasso è il driver di un sistema di commissioni non scritte che hanno determinato il saccheggio delle finanze della Segreteria di Stato». «La realtà dei fatti — prosegue la lettera — è che sono stati versati milioni e milioni di euro su un conto corrente a Santo Domingo», al quale avrebbero avuto accesso anche monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi, l’ex segretario di Becciu responsabile degli investimenti sotto processo per corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio. Le accuse contenute nella lettera sono ancora al vaglio delle autorità vaticane, ma la loro portata ha contribuito a rafforzare la convinzione dell’arcivescovo di essersi imbattuto in un’alleanza di potere così forte da arrivare a contrastare le decisioni del Santo Padre.