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 2021  agosto 06 Venerdì calendario

Da Andreotti a Draghi, storie di stakanovisti e insonni

Il potere è per definizione infaticabile, quindi non va in ferie e non fa vacanze. «Chi vuole può andare qualche giorno in ferie. Io sono sempre qui» ha detto il presidente Draghi ai ministri: a Palazzo Chigi si lavora in piena estate, e occorre riconoscere che con la doppia emergenza la scelta non dovrebbe troppo sorprendere.
Ma l’Italia è pur sempre l’Italia. E senza mettere in dubbio il proposito di Draghi, che fra tutti i governanti batte il record della permanenza all’estero, e che per stile e temperamento appare il più lontano da certi accomodamenti nazionali, qui da noi la retorica ha una marcia in più; il che autorizza a nutrire un generale e salutare scetticismo.
Con tale premessa sarà più lieve, oltre che umano, accogliere la notizia che il premier ha trovato il modo di passare qualche ora di meritatissimo riposo. Dopo tutto, egli si è preso sulle spalle il suo compito con uno spirito che Giuliano Amato, altro ragionevole stakanovista del potere, ha sintetizzato con la formula latina: "coactus tamen voluit", l’ha voluto per obbligo, ma l’ha voluto.
Sennonché, insieme alla più pervicace ed espressionistica retorica, da quasi un secolo i governanti italiani figurano, almeno in teoria, fra i più grandi lavoratori del mondo. E a questo punto, senza che suoni pretestuoso, ma anzi a indicare una di quelle leggende che meglio penetrano nell’inconscio del popolo, tocca ritornare alla luce accesa che nottetempo rifulgeva attraverso la vetrata della Sala del Mappamondo, ovvero lo studio del duce a Palazzo Venezia, segno del suo incessante impegno, per cui gli italiani si riposavano e lui, fervido, vegliava. Ora, a parte le canzoni del regime ("Duce, tu sei la luce" eccetera), scarsissime sono le basi storiche della credenza o dell’espediente che alcuni fanno risalire ad Achille Starace, pontefice massimo del culto mussoliniano. Mentre è documentalmente acclarato, anche se è significativo che nessuno andasse a sbandierarlo, che Ferruccio Parri, uno dei primissimi presidenti dell’Italia democratica, si fece posteggiare una brandina nel suo ufficio al Viminale.
Antiretorici i grandi democristiani, ma pure loro insonni e perennemente dediti al lavoro: Andreotti con i suoi dossier anche dalle suorine di Cortina; Fanfani, che faceva ginnastica in ore antelucane sul terrazzo di casa, pronto a mollare tela e pennelli per qualsiasi problema richiedesse le sue virtù di "motorino", come pure era chiamato.
Nella Seconda Repubblica instancabilità e ripudio vacanziero tornarono da un lato a farsi vistosi ed edificanti, dall’altro si aggiustarono alle esigenze dei potenti. In questo senso, oltre vantare due o tre ore di sonno per notte e tali ritmi di lavoro da schiantare la resistenza dei collaboratori, uno dei quali finito con la flebo all’ospedale, Berlusconi sbrigava gli affari di governo da villa La Certosa, su cui venne addirittura posto il segreto di Stato. Solo più tardi si scoprì che il suo "riposo" notturno era in realtà eccitante e faticosetto, tanto che il giorno si addormentava dappertutto. Renzi, d’altra parte, ulteriore premier insonne, spediva tweet da Palazzo Chigi ritraendosi alla scrivania alle sei del mattino e un’estate volle gettarsi in testa un secchio d’acqua ghiacciata per qualche ragione di cui è tuttora controverso l’esito. Vacanza o non vacanza, Draghi non è tipo da produrre questi spettacolini.