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 2021  agosto 05 Giovedì calendario

Sarah Gilbert, la scienziata in forma di Barbie

La Barbie a immagine e somiglianza di Sarah Gilbert, 59 anni, la scienziata britannica co-creatrice del vaccino anti-Covid AstraZeneca, è una cosa importante, anche se non dovrebbe esserlo. L’intento è quello di onorare una donna che è già entrata nella storia, una vaccinologa che ha contribuito a salvare migliaia di vite, insignita dalla regina del titolo di Dame e che ha ricevuto una standing ovation a Wimbledon. Una donna il cui marito ha lasciato il lavoro per tirare su i tre gemelli della coppia e permettere a lei di fare carriera, perché lui in quel momento guadagnava di meno e quindi era logico fare questa scelta.Operazione onorevole, quindi, anche se queste cose non dovrebbero più stupirci. Infatti, anche l’interessata inizialmente si è stupita, poi ha rilasciato questo commento alla Bbc: “Voglio ispirare le prossime generazioni di bambine alle carriere Stem, spero che quelle che incontreranno questa Barbie scopriranno quanto le professioni scientifiche possono contribuire al mondo attorno a noi”. La Barbie Sarah Gilbert è una cosa importante anche se non dovrebbe esserlo, perché lo aveva capito già nel 1869 John Stuart Mill che non esiste una “natura femminile” precostituita ma siamo tutte e tutti il prodotto del contesto storico culturale e sociale nel quale cresciamo, siamo figlie e figli degli stereotipi che ci vengono proposti e che formano la nostra individualità profonda a nostra insaputa. Mill ne aveva scritto in «La soggezione delle donne», dove analizzava le influenze educative sul carattere delle donne. Sono passati 152 anni, eppure fa ancora notizia che una bambola sia una scienziata.Perché comunque, ancora oggi, gli studi umanistici sono più frequentati dalle ragazze, mentre si fa fatica a far passare l’idea che le carriere nei campi delle scienze “dure”, le cosiddette Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) siano “adatte” anche alle donne. E tutto ruota ancora intorno a una bambola, la famigerata Barbie che negli anni passati era finita nel mirino dei vari movimenti di liberazione della donna perché rappresentante dello stereotipo della bambolina bionda con poco cervello ma fornita di tette, curve e gambe sproporzionatamente lunghe, oggetto da pettinare e vestire come una principessa, con i veli di tulle rosa e i lustrini in attesa del principe azzurro.La scrittrice e pedagogista Elena Gianini Belotti aveva dedicato un intero capitolo al tema “Giochi” nel suo fondamentale saggio sul tema dal titolo “Dalla parte delle bambine”, testo del 1973 dove rifletteva sull’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita. Semplificando, se al figlio maschio si regala il Meccano o il pallone (perché i maschi hanno bisogno di muoversi, eh) e alla figlia femmina il completino da infermiera o la cucina in miniatura (le bambine la cura ce l’hanno nel sangue, eh), il messaggio è fin troppo chiaro. Tu in cucina, lui ingegnere o calciatore.Anche dalla parole sante della Belotti sono trascorsi 48 anni e certamente qualcosa è cambiato. Alla Mattel non sono scemi e sono arrivate le bambole ispirate a donne che lavorano (pensa che novità) e di volta in volta si sono sdoganate bambole che operano nei settori dove le donne sono da sempre sottorappresentate. In queste operazioni c’è molto di commerciale, ma alla fine ben vengano, perché il marketing fiuta il vento e quindi significa che il vento è cambiato o sta cambiando. C’è solo da sperare che queste nuove serie di “inspiring women” (ci sono anche quelle politicamente corrette ispirate a Rosa Parks, una sulla sedia a rotelle, quella un po’ grassoccia, una nera con acconciatura naturale) non creino altri piccoli ghetti identitari e che si possa finalmente ignorare la prossima Barbie ispirata a chissà chi.