Il Messaggero, 5 agosto 2021
Fran Lebowitz ne ha per tutti
Chi è Fran Lebowitz? Forse per spiegarlo basterebbe dire che Martin Scorsese negli ultimi dieci anni le ha dedicato non uno ma ben due documentari. Il primo, prodotto da Hbo nel 2010, si intitola Public Speaking. L’ultimo, Pretend it’s a City, l’ha fatta diventare l’autentica star di Netflix del 2021. Si potrebbe inoltre aggiungere che iniziò la sua carriera di scrittrice e opinionista negli Anni Settanta scrivendo recensioni di film brutti per Interview, la storica rivista di Andy Warhol, con il quale tra l’altro non andò benissimo, «le cose migliorarono dopo la sua morte», disse lei. E che, se ancora non bastasse, per un periodo lunghissimo, fu ospite fissa nel talk show più celebre d’America, il David Letterman Show, dove spesso veniva invitata a dibattere, letteralmente, su qualsiasi cosa.
GENIALITÀ
Se volete assaporare ciò che è stata negli ultimi cinquant’anni la città di New York, e più in generale gli Stati Uniti, Fran Lebowitz è la persona che fa per voi. Chi ne ha sentito parlare sa già che ci troviamo al cospetto di una personalità fuori dagli schemi. Unica. Per coloro che non la conoscessero si può dire che Bompiani ha appena pubblicato la raccolta completa dei suoi scritti nel volume, dal titolo geniale che farebbe invidia perfino a Oscar Wilde: La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire.
Newyorkese impenitente, (arrivata a Manhattan dal New Jersey con solo 200 dollari in tasca), lettrice vorace, amante della moda, dei mobili di lusso e dell’arte, è diventata, suo malgrado, in America, un’icona pop, che potremmo paragonare, senza rischiare di apparire pretenziosi, a Woody Allen. Se solo Woody Allen indossasse costantemente un paio di giganteschi occhiali tartarugati, giacche di alta sartoria inglese fatte fare a Savile Row, camicie button-down, jeans vintage e stivaloni da cow-boy anche in piena estate.
GREENWICH VILLAGE
Questo e molto altro è Fran Lebowitz: ex tassista notturna, una delle prime donne a entrare nei circoli esclusivi del Greenwich Village di Manhattan, frequentatrice assidua di feste e party selvaggi, scrittrice che non scrive un libro da oltre quarant’anni, fumatrice incallita e misantropa di professione.
Deve la sua fortuna solo a se stessa e al suo particolare sguardo nell’osservare la società che la circonda. «Se sentite l’urgenza cocente di scrivere o dipingere, limitatevi semplicemente a mangiare qualcosa di dolce: vedrete che la sensazione svanirà. La storia della vostra vita non è materiale per un buon libro. Non ci provate nemmeno». Oppure: «La mia sveglia ideale? Una certa attrice francese che, alle due e mezza del pomeriggio, mi sussurra dolcemente in un orecchio di sbrigarmi a far portare la colazione, se voglio arrivare in Svezia in tempo per ritirare il Nobel per la letteratura». O ancora: «La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire. Pertanto, ciò che chiamiamo civiltà sono solo i resti accumulati di un numero agghiacciante di nottatacce».
Nell’antologia pubblicata da Bompiani, che raccoglie opinioni e giudizi, taglienti e ironici, sui più svariati argomenti, si comprende a pieno la sua personalissima visione del mondo. Visione che spazia dall’odio per piante e animali, autentici status symbol per l’aristocrazia intellettuale newyorkese, e prosegue con sferzanti considerazioni sulle tremende abitudini radicate nell’ambiente cittadino.
FOLLIE ITALIANE
Particolarmente godibili sono poi i capitoli dedicati al nostro Paese: «A Milano ci sono due categorie di persone. Quelli che lavorano per i vari Vogue e gli altri. A Milano lavorano tutti, e se piove danno la colpa a Roma. A Roma non lavora nessuno, e se piove sempre che se ne accorgano danno la colpa a Milano. La gente passa la maggior parte del tempo a pranzare. Sono piuttosto bravi: Roma è senza ombra di dubbio la capitale mondiale del pranzo. È una città folle sotto tutti i punti di vista. Basta passarci un’ora o due per rendersi conto che Fellini gira documentari. In Italia non c’è niente di simile al rock and roll, quindi i ragazzi sognano di diventare star del cinema anziché eroinomani».
INUTILE SFORZARSI
Gli scritti di Fran Lebowitz sono un fiume in piena che vi sarà impossibile arginare. Pagina dopo pagina, verrete completamente inghiottiti dai pensieri fluidi di questa tecnofobica «maitresse-à-penser, influencer ante litteram», domandandovi, per tutto il tempo che deciderete di passare con lei, per quale diavolo di motivo, voi non risultate essere, agli occhi degli altri, così acuti e intelligenti. La risposta la trovate nel libro, ed è molto più semplice di quello che pensate: «Il vero talento artistico è una dote che hanno in pochissimi. Di conseguenza, sforzarsi peggiorando la situazione è tanto disdicevole quanto inutile». Non rammaricatevene, siamo tutti sulla stessa barca.