il Fatto Quotidiano, 5 agosto 2021
Grazia Di Michele contro Mina
“Io e mia sorella scrivevamo canzoni insieme, facevamo attività nel movimento femminista, ci stavamo affacciando a una realtà nella quale le donne avevano bisogno di confrontarsi. Ma il loro universo era raccontato nei brani musicali dagli uomini”. Grazia Di Michele si definisce “una ragazza degli anni settanta” ed è l’emblema della cantautrice con una sensibilità rivolta al sociale, ai diritti civili e all’empowerment femminile: “Nel primo disco Cliché si parlava dell’aborto, dell’omosessualità femminile; temi che non venivano cantati”. L’analisi dei testi inizia da Mina, in particolare Bugiardo e incosciente (“ha questo amore succube”) e Grande grande grande (“una donna aggrappata a un uomo”).
L’immagine di una donna non proprio emancipata…
«Mina rappresentava una donna che faceva scelte coraggiose quindi c’è una dicotomia tra il suo modo di presentarsi e quello di vivere la sua relazione. Mia Martini in Minuetto cantava “vieni qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi”: c’è sempre questa visione che non è frutto dalla penna di una donna. Quello che le donne non dicono è diventata un inno eppure – per quanto adori Enrico Ruggeri –, è un’immagine vecchia: queste donne sedute “con le lettere d’amore, che si truccano per piacere a chi c’è già” e “ti diremo sempre un altro sì, tanto ci troverai qui” è un modo di descriversi che non è il mio».
C’è un interprete o una autrice alla quale si sente più affine?
«Quando ho iniziato ero davvero da sola… C’era Gianna Nannini ma faceva rock, anche lei seguiva la sua strada di affermazione di un certo modo di essere donna. Paola Turci iniziava a scrivere, Carmen Consoli è sempre stata molto libera, coraggiosa; sa parlare in maniera diretta. Le donne come Mariella Nava sono capaci di scrivere “ti ho ingoiato quanto sei salato” quarant’anni fa, canzoni non necessariamente legate al mondo femminile. Sono in tour con lei e Rossana Casale: noi tre siamo insieme per un comune denominatore, per la coerenza portata avanti. Sento vicine loro».
Io sono una finestra, Gli amori diversi: ha contribuito a rompere un muro?
«Abbiamo lanciato un messaggio molto forte: ci sono arrivate valanghe di lettere e messaggi sui social di persone che vivono in ombra e si sono sentite rappresentate. La canzone può smuovere, la musica è un mezzo straordinario: pensiamo alla nostra canzone politica e sociale, ai nostri cantautori, a Italo Calvino».
Un prima e un dopo: Ape di vetro è stato il suo gruppo d’esordio, dichiaratamente antifascista. Nel suo locale Johann Sebastian Bar a un certo punto scoppia una bomba rivendicata dai Nar…
«Tremendo. Io ero convinta di avere perso l’udito. Nel locale passavano tutti i grandi artisti, dagli Area a Mauro Pagani ai gruppi americani. Era un posto frequentato da persone di sinistra e questo probabilmente non è stato gradito. Nonostante tutto dopo due giorni ero già a scrivere e cantare».
C’è stato un momento in cui voleva candidarsi in politica.
«Ho incontrato e conosciuto Ignazio Marino e, intuitivamente, mi è sembrato una persona molto onesta, pulita e corretta; nei miei sogni pensavo di fare qualcosa per la musica. Ma era anche il periodo che facevo Amici e dato che avevo un contratto Mediaset c’era un conflitto di interessi e mi sono ritirata dalle elezioni».
Dicono che nessuno è profeta in patria. Nel programma tv Le ragazze parla di suo figlio che ascolta i trapper e spesso nei testi trova riferimenti alla donna qualificata come “oggputtana”.
«Le produzioni di Sfera Ebbasta sono ottime a livello di suoni ma l’immagine femminile che viene fuori dai testi è quella di una donna disposta a tutto: come vedono una persona con i soldi la danno facilmente. Sante bambole puttane è il titolo di uno spettacolo teatrale e di un disco in cui io racconto la proiezione che gli uomini hanno delle donne. Nessuna donna direbbe di se stessa “sono una puttana”, è un pregiudizio che si appiccica addosso ed è figlio dello stereotipo. Penso che i figli hanno più bisogno di esempi che di parole. Mio figlio mi ha visto sottopormi a dei sacrifici immensi e così, nonostante una laurea, va anche a fare gli infissi nelle case alle 5 del mattino».
La sua ultima “fatica” è la canzone Madre terra. I commenti su Youtube – spesso trascurati – sono lo specchio di come è stata recepita: gratitudine.
«È vero. Questa canzone la insegnano nelle scuole, i bambini fanno disegni ispirati al brano e me li inviano. Mi è capitato di leggere il libro Lettere d’amore alla madre terra di Thick Nhat Ha: nella sua semplicità questo monaco buddista parlava come San Francesco. Se dici a un cacciatore di non sparare agli uccelli non ottieni nulla ma se il cacciatore comincia ad amare la natura, forse da un atto d’amore può partire una rivoluzione».