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 2021  agosto 05 Giovedì calendario

Storia delle nuvole

Quante forme hanno le nuvole? Infinite. Le nuvole sono instabili, mutevoli e cangianti. Forse proprio per questo hanno affascinato gli umani che se ne stanno a testa in su a osservarle stupiti. Amleto si rivolge a Polonio: «Vedete quella nuvola che sembra quasi un cammello?». «Per la santa messa è così… un cammello». Amleto: «Forse una donnola». Polonio: «Infatti la schiena è di una donnola». Amleto: «O una balena». Polonio: «Una balena, tale e quale». Il dialogo riecheggia quello tra Socrate e Strepsiade nelle Nuvole di Aristofane secoli prima: la forma di centauro, leopardo, lupo e toro. Le nuvole sono state a lungo un mistero. Cosa sono esattamente, come si formano, perché si modificano, perché piove, nevica o grandina? Leonardo con la sua sottigliezza geniale le aveva definite «corpi senza superficie». Vaghe, effimere, fantastiche, noi ne possiamo distinguere la forma eppure è impossibile dire dove comincino e dove finiscano, scrive Gavin Pretor-Pinney, in Cloudspotting, manuale per i contemplatori di nuvole. Più prosaicamente per un meteorologo una nube è un insieme di minuscole particelle d’acqua o di ghiaccio, così numerose da risultare visibili. Le goccioline sono grandi pochi micron fino a raggiungere i 100 micro. Il mistero sta nell’aspetto dell’acqua lassù rispetto a quella quaggiù: perché il composto d’idrogeno e ossigeno ha una forma così diversa dal liquido versato nei nostri bicchieri? Semplice: l’aspetto bianco e opaco dipende dal fatto che l’acqua è distribuita in una enorme quantità di goccioline (all’incirca dieci milioni per metro cubo) ciascuna con una dimensione di qualche millesimo di millimetro e queste micro-superfici riflettono la luce in tutte le direzioni così da dare al loro aggregato un aspetto diffuso e lattiginoso. Lassù abitano gli dèi. Nell’Esodo Dio appare sotto forma di nuvola e quando guida gli ebrei nel deserto in fuga dagli egizi ha la forma di una “colonna di nube”. Ma anche Zeus è nuvoloso; il dio del cielo e della pioggia, creatore delle nuvole, concupisce le donne avvolgendole con una nube come appare nel meraviglioso quadro di Correggio, grande pittore di nuvole: Giove e Io (1531). Nuvola o nube? Quale termine è più corretto, si domanda Vincenzo Levizzani in un suo libro. Là dove l’inglese ha un solo termine, Cloud — consueto a noi tutti per via della conservazione dei dati informatici – l’italiano usa “nube” per indicare il senso proprio l’ammasso di goccioline d’acqua, mentre nuvola è il suo sinonimo più comune e popolare. La maggior parte dei parlanti, sognatori, contemplatori, artisti e bambini, preferisce il secondo, i meteorologi, più precisi, il primo. Il grande problema che questi ultimi hanno avuto per migliaia d’anni era di dare un nome alle nuvole viste nel cielo. Gli antichi indù ci scorgevano i cugini spirituali degli elefanti, creature che possono attirare la pioggia dopo le estati torride; Megha in hindi è la nuvola che si prega per avere i monsoni. La storia dei nomi delle nuvole comincia con Aristotele e arriva a uno sconosciuto meteorologo dilettante, Luke Howard, aderente della chiesa dei Dissenzienti. Una sera del 1802 in un umido stanzone londinese usato come laboratorio questo trentenne espose la sua nomenclatura delle nuvole-nubi: semplici: Cirrus, Cumulus, Stratus; intermedie: Cirrus-cumulus, Cirrostratus; modificate: Cumulus-stratus; Cumulo- cirro-stratus. Così apparivano sulle pagine del Philosophical Magazine, una diffusa rivista dove fu divulgata la classificazione di Howard col titolo: On the modification of cloud (1803). Oggi si parla di Cumulus, Cumuloninbus, Stratus e Stratocumulus per le nubi basse; Altocumulus, Altostratus e Nimbostratus per quelle medie; Cirrus, Cirrocumulus e Cirrostratus per le nuvole alte. Sono il genere, poi ci sono le specie e altre varietà come le “nuvole accessorie”, che introducono altri dettagli classificatori. Ma l’impianto resta quello impostato dal quacquero inglese quella sera, dall’uomo a cui il settantenne Goethe dedicò una lirica appassionata e ammirata, lui che era attratto da quelle forme sparse nel cielo tanto da redigere sotto l’influenza del chimico dilettante un vero e proprio Saggio di meteorologia. Ma come si formano le nubi? Con la salita di aria per il riscaldamento solare, ma anche per il sopraggiungere in alto di masse d’aria provenienti da direzioni diverse. Le nuvole sono il risultato di una macchina termica che funziona in modi vari e che rende la Terra vivibile. Sappiamo molto delle nuvole, ma non ancora tutto, e soprattutto, nonostante vari tentativi, non siamo in grado di produrle. In uno dei suoi più bei libri, Staccando l’ombra da terra, Daniele Del Giudice ha scritto: «la nube non è un oggetto, non è uno stato, ma è una transizione costante, e come tale andava descritta» ( Fino al punto di rugiada ). Come ha fatto Luke Howard a risolvere il problema della classificazione delle nuvole che aveva occupato menti ricche e complesse del passato? Come era giunto a definire quelle che Aristotele chiamava le “meteore” – «quel che sta in alto nell’aria» – secolarizzando in un colpo solo i cieli sulle nostre teste? Prendendo atto della loro volubilità, utilizzando una visione non statica bensì dinamica, e poi semplificando. Le nubi, come spiega il suo biografo Richard Hamblyn, potevano cambiare di genere e specie passando per innumerevoli stadi intermedi e intere famiglie di forme. Adottò il binomio tassonomico di Linneo (genere e specie) ottenendo così una classificazione, e nel contempo generava le forme intermedie capaci di descrivere i cambiamenti rispetto agli schemi iniziali. Usò il latino, che era allora la lingua della comunicazione scientifica, e soprattutto ebbe un guizzo d’immaginazione linguistica che addomesticò le entità inafferrabili. Ha ragione Del Giudice: la meteorologia è la scienza della previsione e insieme della delusione o, come dice Hamblyn, «una catastrofe silenziosa, un mondo di vapore che perisce davanti ai nostri occhi»: una volta scomparse «senza lasciare i segni della propria effimera esistenza, non è naturale considerarle semplici forme del cielo prive di un significato preciso?». Forse no, perché sono le nuvole che ci fanno sognare e immaginare come accade ad Amleto e a Polonio. La poetessa Wislawa Szymborska ha scritto: «Non gravate dalla memoria di nulla,/ si librano senza sforzo sui fatti. Ma quali testimoni di alcunché/ si disperdono all’istante da tutte le parti».

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Per saperne di più:
V. Levizzani, Il libro delle nuvole, il Saggiatore; 
L. J. Battan, Le nubi. Introduzione alla meteorologia applicata, Zanichelli; 
G. Pretor-Pinney, Cloudspotting, Guanda; 
T. Ceravolo, Storia delle nuvole, Rubettino;
M. Porro, Ipotiposi, Medusa; 
R. Hamblyn, L’invenzione delle nuvole, Rizzoli;
J.W. Goethe, La forma delle nuvole, Archinto.