Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2021
Beirut un anno dopo l’esplosione
«Mi trovavo a casa di amici, ad Achrafieh (quartiere cristiano nella parte orientale di Beirut). Ho sentito un rumore sordo. Temevo fosse un terremoto. Sono corsa giù e mi sono riparata in un luogo sicuro. Poi l’onda d’urto che ha travolto tutto, la pioggia di vetri, la polvere. Pensavo fosse un grande attentato nell’edificio di fronte. Invece eravamo distanti più di un chilometro e mezzo. Eppure le porte erano state sventrate».
Leena Saidi, giornalista libanese, ricorda così la mattina che cambiò la storia di Beirut. Accadde un anno fa. L’esplosione delle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio custodite nel porto aveva prodotto quell’enorme e abbagliante cupola bianca che avvolse mezza capitale, seguita da una densa colonna nera a forma di fungo. Quando la polvere si depositò a terra, insieme a vetri infranti di migliaia di edifici, i libanesi presero atto della tragedia. L’esplosione non bellica più potente nella storia dell’uomo aveva raso al suolo il porto di Beirut, e distrutto i quartieri circostanti. Morirono 200 persone, 5mila furono ferite, più di 200mila rimasero senza casa. La Banca mondiale parlava di danni fino a 4,5 miliardi di dollari.
In quel giorno il Libano, già piegato da una gravissima crisi economica, culminata nel default di cinque mesi prima, e alle prese con una violenta pandemia di Covid, subì il colpo di grazia. Insieme ai silos giganti del porto, ai magazzini, agli edifici più vicini, crollarono anche le speranze dei libanesi di uscire il prima possibile da quell’incubo. Nessuno si fa più illusioni. Ci sono tutti gli ingredienti per la tempesta perfetta. L’ipersvalutazione (il cambio è passato, sul mercato non ufficiale da 1.550 sterline libanesi per dollaro a 24mila ), l’iperinflazione, il crollo del Pil, la cronica mancanza di elettricità e di generi di prima necessità, tutto ciò ha trasformato quella che fino agli anni 60-70 era definita la Svizzera del Medio Oriente in uno dei Paesi arabi più poveri, con oltre metà della popolazione sotto la soglia di povertà, e 1,4 milioni di persone dipendenti dall’assistenza alimentare dal World Food Programme.
«La situazione economica è molto grave – ci spiega da Beirut Nassib Ghobril, capoeconomista di Byblos Bank e apprezzato analista –. Le riserve in valuta pregiata della Banca Centrale del Libano sono precipitate a 15 miliardi di dollari. A fine febbraio 2020, quando erano già scese, si trovavano a 43 miliardi». Dall’esplosione le riserve hanno rappresentato la sola risorsa per il Governo per fronteggiare la crisi. «Sono state usate per pagare i sussidi e le importazioni di molte merci. Il Libano importa quasi tutto quello che consuma. Ma anche questo canale si è prosciugato. Perché dopo il default annunciato nel marzo 2020, la fiducia è crollata, i flussi di capitale straniero si sono azzerati, come gli investimenti diretti esteri», aggiunge Ghobril. Nel mentre una classe politica corrotta è reticente a trovare una soluzione. L’11 agosto il Libano celebra così un altro amaro anniversario, precisa Ghobril: «Saranno 12 mesi senza un Governo. Così il Fondo monetario internazionale non prenderà in considerazione l’agognato prestito (si parla di 10 miliardi di $, ndr). Prima vuole un Governo, e la garanzia di riforme strutturali. La sua linea è comprensibile; aiutatevi e vi aiuteremo».
L’élite al potere pare sorda. Il 16 luglio anche il premier designato, Saad Hariri, è entrato in conflitto con il presidente Michel Aoun e ha rinunciato al mandato. «La stessa sorte sta accadendo al nuovo premier designato a formare l’Esecutivo, Najib Mikati. Litigano sulle poltrone mentre la popolazione è allo stremo, la classe borghese è scomparsa. Chi guadagnava 800 dollari al mese, uno stipendio dignitoso, oggi arriva a malapena a 60 dollari», continua Leena Saidi.
Una delle principali vittime dell’esplosione è stato il settore sanitario, già messo a dura prova dall’afflusso di profughi siriani e dalla crisi. Diversi ospedali furono danneggiati. Se a ciò si aggiungono i blackout, che durano fino a 20 ore al giorno, e i generatori che, non solo per mancanza di carburante, non riescono a tenere il passo, si ha una migliore percezione del dramma. Ormai chi si presenta a un ospedale, anche per un’urgenza, rischia di essere respinto. «Con la svalutazione della moneta, anche coloro che in passato potevano permettersi un medico o uno specialista del settore sanitario privato (che costituite l’80% del sistema sanitario libanese) non possono più farlo e sono costretti a ricorrere al precario sistema sanitario pubblico», ci spiega Caterina Spissu, responsabile affari umanitari di Medici senza frontiere in Libano. A tutto ciò si aggiunge una pandemia di Covid che sta rialzando la testa. «Al momento – continua Caterina Spissu –, il numero di infezioni cresce. Si contano oltre mille nuove infezioni ogni giorno. Secondo le autorità sanitarie la variante Delta costituisce il 100% dei nuovi casi».
A cascata la grande crisi, con il crollo degli stipendi e le prospettive non certo incoraggianti, sta provocando un fenomeno altrettanto preoccupante: la fuga di cervelli. «Pare inarrestabile. Ha colpito anche il settore sanitario», spiega Leena Saidi. «Dottori, specialisti, infermieri di lunga esperienza, continuano a lasciare il Paese o stanno pensando di farlo», precisa la responsabile di Msf. Che aggiunge «Alcuni ospedali hanno già dato l’allarme segnalando che non saranno più in grado di condurre interventi chirurgici o dare priorità a quelli più urgenti. E ciò a causa del fatto che alcuni dei farmaci utilizzati per l’anestesia non sono più disponibili».
Intanto per il 2021 si prevede una contrazione del Pil del 10% circa. L’Fmi lo stima a 19 miliardi di dollari. Nel 2020 era 22 miliardi, nel 2019, 43. La definizione di “Venezuela del Medio Oriente” forse non basta più. La Banca Mondiale sostiene che quella libanese potrebbe diventare una delle tre peggiori crisi da metà 800. Peggio di Caracas, peggio di Buenos Aires. La luce in fondo al tunnel non si vede ancora. Ghobril pare rassegnato. «Ma quale luce? Non abbiamo ancora visto il tunnel, quello vero».