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 2021  agosto 04 Mercoledì calendario

Biografia di Letizia Muratori

Niente sito, niente social, niente blog. Niente di niente per riuscire a sapere qualcosa di Letizia Muratori e questo le fa onore perché significa che se lo può permettere. Irreperibile, solitaria. Con la sua costruzione delle frasi che, se fosse arte contemporanea, si avvicinerebbe a Cy Twombly, o qualcosa del genere. Niente di più lontano dal figurativo. A suo modo attraente. Comunque originale. In principio erano i Cento colpi di spazzola. Poi chissà, vallo a sapere se il mercato librario o forse l’idea che se le donne scrivono di sesso stimolano i lettori, nel 2005 è uscito Tu non c’entri. È il romanzo di una ragazza romana, Letizia Muratori, che successivamente vincerà il Premio Roma, e parla di una ragazza romana a Roma. Un calembour. Elena, la protagonista dell’esordio, va con tutti ma non si spoglia mai. Incontra buffi personaggi, vive la sua adolescenza, ed è testimone dell’adolescenza di ritorno di quei quaranta-cinquantenni che si vedono in ogni città, davanti al locale di tendenza, con l’aperitivo in una mano, il cellulare nell’altra, e cercano sempre qualcuno o qualcosa su Tinder e Badoo. Naturalmente in Tu non c’entri Elena nasconde un segreto.
Poi è arrivata la volta de La vita in comune, dove Tina, redattrice in un service di Roma, sta assieme a un famoso giornalista romano a cui fa da ghost writer. Ma poi Tina parte perché anche lei nasconde un segreto e va a incontrare un suo vecchio amore in Germania. Lascia il famoso giornalista e inizia l’avventura a più voci.
Mi diverte la sua biografia riportata da Einaudi che dice: il suo primo racconto è stato pubblicato con molto successo nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere e io, che sono ingenuo, rimango fermo per ore davanti alla frase con molto successo. Per un racconto. Su antologia. Riportato in biografia, nella quarta di copertina. E scoppio in una risata nervosa. Ecco così che la nostra Anaïs Nin italiana l’abbiamo avuta. La casa madre segna il passaggio dell’autrice per Adelphi, e l’affare s’ingrossa perché per me Adelphi è Dio. Voglio capire perché Dio l’ha chiamata a sé e compro il libro. Sono due racconti ambientati nei soliti posti che nel frattempo sono diventati una specie di marchio di fabbrica. Anzi, per l’esattezza uno è ambientato sul litorale laziale, quindi un po’ si sposta dal centro della capitale. A essere sinceri questa storia, la prima, quella delle ragazzine che simulano la maternità grazie a bambolotti realistici chiamati cabbage patch kids ha al suo interno talmente tante connotazioni psicologiche da farlo risultare inquietante e per certi versi fastidioso. Ma è un fastidio letterario e quindi, in definitiva, accettabile. Mi ha fatto ricordare tutti quei vecchietti che incontravo in casa di riposo, quelli in Doll Therapy, che abbracciavano i bambolotti credendoli veri. Straziante e dolcissimo. Mentre l’altro racconto ha come protagonista un bambino che identifica le prostitute della pineta dietro casa con le Winx. In entrambi i racconti si nasconde un segreto, che poi in uno è la madre che muore e la ragazzina deve crescere in fretta, altroché bambolotti, mentre nell’altro il bambino scopre che il padre, là in pineta, va a pagamento con le Winx.
Dal secondo libro per Adelphi inizio a sospettare che Letizia Muratori sia brava perché, a parte il titolo alla Richard Ford, Il giorno dell’indipendenza, riesce a costruire un thriller sofisticato a partire da un ex-cocainomane che si occupava di finanza e ora alleva suini neri e Mary, giunta in Italia dagli Stati Uniti, per cercare alcuni parenti adottivi.
Adesso che li sto guardando e sfogliando di nuovo, tutti i libri della Muratori impilati sul mio tavolo, sono costellati di dialoghi su dialoghi. Ho qui con me Sole senza nessuno, dove si racconta della messinscena che una ex-modella e l’ineffabile signor Murita, vecchia conoscenza del mondo della moda, organizzano per simulare matrimoni col rito romano della Chiesa cattolica a scapito di turisti giapponesi. Dopo i primi due brevi capitoli di ambientazione letteraria partono i dialoghi serrati e così erano i precedenti romanzi o le precedenti novelle. Pare di leggere un’infinita pièce teatrale, dove si sghignazza, si patisce, ci si amareggia. Viene da pensare all’«ingomunicabbilidà» degli esseri umani a Roma. Ma c’è di più. Lunghe sceneggiature dedicate alla solitudine e al tentativo di tutti noi, personaggi compresi, di sfangarla facendo meno danni possibili. Testi per il cinema, per il teatro. Compatibili con le affascinanti stramberie di Spike Jonze, Wes Anderson e certo Del Toro. Ma qui mi fermo per non esagerare. Era solo per dire che questi libri sono delle sceneggiature buone per il mondo della settima arte. Tutto qui.
E io, cioè la mia parte meno buona che la seguiva passo passo nei suoi spostamenti editoriali, me la immaginavo trasformarsi sempre più in una sorta di Teresa Ciabatti radical, con quel suo nome vagamente massonico, Muratori, con quel suo incedere sicuro, con questa lingua essenziale, scarna. Mi dicevo: adesso fa lo scivolone. Adesso inciampa. Adesso sbraca. Invece poi s’è salvata, perché non l’ho mai sentita sbraitare sui social, non l’ho mai vista lamentarsi di alcunché sui giornali e a un certo punto, questa mia parte meno buona, ha dovuto ammetterlo: questa scrittrice ha classe! Letizia Muratori a me piace perché sembra vivere celata. D’accordo le amicizie nel mondo del teatro e del cinema. D’accordo le recensioni di Fofi. D’accordo Roma. Però riesce sempre a stare lontana dai riflettori, appartata. Un po’ snob, un po’ poetessa. È pure bella. Ecco l’ho detto. E ora i guardiani della soglia mi faranno fuori. Sarò sottoposto a shitstorm ovunque. La mia vita a pezzi come molte delle vite rappresentate nel suo romanzo Animali domestici, dove la frammentarietà della struttura, la mancanza di montaggio, mi portano a considerare quanto può essere interessante inanellare eventi senza interrogarsi sulla loro rilevanza, sui collegamenti.
Da poco il passaggio dell’autrice per La nave di Teseo. Ero sicuro potesse piacere a Elisabetta Sgarbi. Spifferi è un libro smilzo di racconti alla Muratori. Ci sono dentro storie di fantasmi. Ovviamente sono tutti fantasmi nell’accezione dell’autrice. Per me, in senso etimologico, sono tutte apparizioni e alla rinfusa mi vengono in mente Slender Man, La bambola assassina, IT in versione vecchia, la serie Nightmare, Non aprite quella porta, il primo Scream e, naturalmente, tutte le parodie Scary Movie. E poi c’è questo romanzo, Carissimi, che sto leggendo ora. 
Un giorno la incontrai. Era con la scrittrice Anilda Ibrahimi a un festival in cui facevo il direttore artistico. Era appena uscito il suo primo libro per Adelphi. Volevo parlarle, era la prima volta che ci vedevamo. Ricordo che mi dissero: «È arrivata in treno». Così andai nell’ufficio dove arrivavano tutti gli autori per biglietti e buoni pasto. Era lì in piedi, davanti al tavolo bianco oltre il quale una signora maneggiava documenti. La Muratori muoveva le mani come un’attrice dell’accademia drammatica D’Amico. Non so perché, ma immaginai proprio questo. Come le muoveva bene. Con armonia, eleganza. Aveva un paio di pantaloni aderenti, sembrava lunga. Un giunco. Si stagliava così, con la luce del primo pomeriggio che entrava da un finestrone pulito. Non le dissi nulla. Fece un incontro sulla maternità ma poi, come una silfide, sparì nel nulla.