Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  agosto 04 Mercoledì calendario

Gli 80 anni di Carla Gravina. Intervista

«Per metà della vita sono stata una ragazzaccia, poi di colpo sono diventata una vecchietta, e adesso una vecchiona!». Se la ride di gusto Carla Gravina, icona del grande cinema italiano, all’idea di tagliare il traguardo degli 80 anni. «Non penso mai all’età, sto abbastanza bene da scordarmi quanti sono…». Però l’idea di una festa, domani all’isola della Maddalena, dove vive Giovanna, figlia sua e di Gian Maria Volonté, la mette di buon umore. «Da quasi vent’anni cura un festival dedicato al padre, La valigia dell’attore. Una brava figlia, capocciona come me». 
La Maddalena l’isola di Volonté, ci passava l’estate andando a vela. Ricordi belli? 
«A quei tempi, metà anni Settanta, tra noi era già finita. Ma siamo rimasti in buoni rapporti. Giovanna adorava suo padre, lui adorava il mare, andavamo in barca insieme. Io non sapevo nuotare, lui mi gridava: buttati che ti tengo. Ci sono cascata, mi sono buttata e lui mi ha lasciata andare sotto. Risalita in barca, gli ho mollato due schiaffi». 
Un amore che le è costato caro. Ne valeva la pena? 
«Altroché. Gian Maria mi ha fatto patire le pene dell’inferno, mi ha tradita, mi ha mentito, si è comportato malissimo. Ma è stato e resta l’amore della mia vita. Non il solo, ma il più grande sì». 
L’incontro nel ’60 a Verona, in scena come Romeo e Giulietta. Un segno del destino? 
«Di tutti i ruoli quello che Gian Maria mai avrebbe voluto fare era Romeo. Si vergognava a dire quelle “smancerie”, sotto sotto era un timido... Lui voleva essere Mercuzio, il ribelle. Ma Franco Enriquez, regista dello spettacolo, aveva stabilito così». 
Come andò? 
«Alle prove lui doveva prendermi la mano, guardarmi negli occhi. Io mi sentivo rimestare dentro, lui diventava tutto rosso. Finché ci siamo baciati. È stato un precipizio d’amore, un anno dopo è nata Giovanna». 
Cosa voleva dire essere una ragazza madre ai tempi? 
«Nel ’61, in quell’Italia bigotta e democristiana, mettere al mondo un figlio fuori dal matrimonio, peggio con uno sposato, era inaccettabile. Ragazza madre, scandalo, da mettere al bando. E così, nonostante i film con Monicelli, Lizzani, Comencini, di colpo mi si chiusero le porte. Il contratto d’oro per sette anni con Dino De Laurentiis, i Caroselli in tv… Tutto cancellato. Mi avevano avvertita, ti giochi la carriera, ma mai ho pensato: non la tengo. Quando ho detto a Gian Maria che ero incinta, i suoi occhi si sono riempiti di lacrime, mi ha abbracciata stretta. La cresceremo insieme, mi sono detta. Mi sbagliavo». 
Cosa è successo? 
«Che non fosse fedele lo sapevo, ma una sera l’ho beccato che si sbaciucchiava con l’attrice Mirelle Darc. Mi aveva detto che usciva per andare al sindacato… L’ho mollato, lui non l’ha mandata giù. Quando gli ho chiesto di aiutarmi a mantenere nostra figlia, che aveva solo 6 anni, mi ha risposto con una sola parola: no. Il compagno Volonté… Potevo rovinargli la vita. Mi sono detta, ce la farò da sola. È stata dura, sono arrivata a impegnare i gioiellini che avevo. Ma non rimpiango nulla». 
Altri amori? 
«Omar Sharif. Anche lui caratteraccio, ma io da leonessa gli tenevo testa. Liti furibonde, furibonda passione. Una sera a Parigi abbiamo incontrato Jeanne Moreau, con cui avevo girato Jovanka e le altre. Si è fiondata su Omar e mi ha detto: sei fortunata a stare con lui. Penso valga altrettanto per lui, ho risposto». 
Sempre storie difficili. 
«La terza l’ho schivata per poco. Strehler mi aveva chiamata al Piccolo per Le baruffe chiozzotte. Durante le prove continuava a fissarmi, e quando avevamo finito insisteva per accompagnarmi a casa. Finché un giorno ricevo una sua lettera. Una lettera d’amore strepitosa, con parole che forse nessun altro mai. Ero molto tentata, ma stavo ancora con Volonté… Una storia mancata. Chissà». 
Quando è finito l’esilio dal cinema? 
«A fine anni ’60. Da brava ragazza ero stata promossa a cattiva ragazza: l’indemoniata in L’anticristo, la bombarola in Cuore di mamma, l’amante di Dustin Hoffman in Alfredo Alfredo… Ma a rilanciarmi davvero fu la tv. Daniele Danza mi chiamò per Il segno del comando. Avrei dovuto interpretare una segretaria, lo convinsi a darmi la parte dello spettro. Arrivai sul set con dei vestiti da zingara, svolazzanti, ideali per una apparizione. Pagliai mi ricorreva nella Roma notturna, e l’Italia si innamorò del mio fantasma». 
Cosa le è rimasto delle sue origini friulane? 
«Da Gemona, dove sono nata, sono andata via troppo presto. I ricordi sono a Muggia, dove c’era la mia casa sugli alberi e la casa del nonno. Il terremoto l’ha distrutta. Il solo legame rimasto è con Livia, un’amica d’infanzia. Ogni tanto ci sentiamo, lei mi dice “mandi ninina”… Non amo le tombe, vorrei che le mie ceneri fossero sparse con dei semini da quelle parti. Così magari spunterebbe qualche fiore con dentro un po’ della mia energia».