Corriere della Sera, 3 agosto 2021
Gianni Morandi e la felicità. Intervista
«La felicità è altro rispetto all’allegria, ma essere allegri è il primo passo per raggiungerla». Gianni Morandi, nuovo protagonista dell’Artista day – l’iniziativa con cui Corriere della Sera e Radio Italia celebrano un cantante per una giornata —, dell’allegria è un esperto. Non solo, complice Jovanotti, l’ha fatta diventare uno dei singoli di questa estate, ma la pratica da anni, anche quando non è facile: è convinto sia quasi un dovere, «per sfruttare il regalo che è il nostro passaggio sulla Terra».
Se parliamo di momenti, quali sono i suoi più felici?
«La nascita dei figli. La gioia di quando è venuta al mondo Marianna, la mia prima figlia. In realtà è la mia seconda: c’era stata Serena, ma ha vissuto solo otto ore. Mio padre temeva che il cognome finisse con me, poi però ho avuto Marco, che a sua volta ha tre maschi e dopo è arrivato Pietro... insomma, ci sono innumerevoli Morandi».
È diventato papà da giovane e poi dopo i 50 anni: cambia qualcosa?
«Una consapevolezza diversa mi ha fatto essere meno rigido nell’educazione. Con i primi figli ero rigoroso, come papà: credeva nella disciplina, nello studio, mi faceva leggere ad alta voce. Marianna fino a 18 anni non è uscita la sera. Con Pietro sono stato più dolce. Ma poi conta l’esempio».
Lei quale ha dato?
«Spero di aver trasmesso l’importanza del rispetto per gli altri, prima di tutto. Poi la voglia di conoscere, approfondire, conquistarsi le cose».
Ha affrontato tante difficoltà, da una figlia persa appena nata all’incendio di qualche mese fa. Come si fa a non perdere l’allegria?
«Bisogna cercare di non farsi sopraffare dalle difficoltà. Se la vita ti regala qualcosa bisogna cercare di farla fruttare: i momenti felici diventano le ragioni per andare avanti... certo, serve avere coraggio».
Lo ha avuto anche nel corteggiare sua moglie Anna...
«Un mio amico mi aveva avvisato che non era facilmente conquistabile. Io le ero sembrato il solito cantante che fa il galletto: mi diede il numero di telefono sbagliato. Mi aveva preso da subito: il suo sguardo, il suo modo di essere e la sua autonomia; era una donna di carattere, decisa. Era molto single, di quelle che non vogliono legarsi...».
E poi?
«Una volta trovato il numero giusto è partita la sfida: lei diceva: “Non mi interessa un’avventura”. Rispondevo: “Ma intanto non è bello stare insieme?”. E lei: “Non lo so... e poi voi dello spettacolo recitate sempre”. “Ma ti sembra che reciti?” “Mah, un pochino...”. Ecco. Ma io sono più attratto da una persona così».
Alla fine l’ha conquistata.
«Sono passati 27 anni. Ho cercato di non annoiarla, di essere uno che le dimostra che ho voglia di stare con lei, fare cose con lei.... Prima ero un po’ farfallone, ma con Anna no: sarebbe un dolore tradire la sua fiducia. Ora poi che mi aiuta nelle terapie, non si spazientisce mai».
Come vanno le cose?
«Meglio. Una mano non la posso usare, della sinistra invece muovo due, tre dita: ho imparato a scrivere benino, faccio anche degli autografi».
Tra i colpi di fortuna della sua vita, c’è anche la telefonata di Mogol arrivata quando non lavorava quasi più?
«Certo. Dopo il successo dei primi dieci anni di carriera ero passato all’oblio, poi mi ha chiamato e tutto è ripartito. Ma avevo già delle alternative: studiavo al conservatorio e volevo diventare direttore d’orchestra. Era troppo, adesso lo so. Se no avrei fatto l’insegnante di musica in qualche liceo. O il produttore...».
I piano B non mancavano.
«Ne avevo una serie... mi dicevo anche: “Apro un ristorante e lo chiamo C’era un ragazzo”. Alla fine del primo piatto avrei preso la chitarra e cantato qualcosa».
Se anche lo facesse oggi, sarebbe un successo.
«Ogni tanto ci penso: ho girato il mondo, dalla Cina all’America. E se ora invitassi 80 persone al giorno a casa mia? Do loro da mangiare una tagliatella alla bolognese, canto qualche canzone... potrei farlo nell’orto, tra i pomodori».
Quindi non ha vissuto male quella che pareva la fine del suo successo?
«Mio padre ripeteva: guarda che sei giovane e da un momento all’altro la bella favola finisce. Ero preparato. Lui morì a 49 anni, ennesima batosta arrivata quando non lavoravo più e mentre divorziavo da mia moglie... Per fortuna quattro soldi li avevo, anche perché, tra l’altro, diceva: “Metti da parte per le tasse perché ti vengono a cercare”».
La sua positività è quindi una reazione a suo padre?
«Cerco di esserlo perché ho avuto troppi regali dalla vita: chissà quanti cantano meglio di me e non hanno un terzo di quello che ho ricevuto io».
E dunque, Gianni Morandi oltre che allegro è felice?
«Ho una famiglia che mi vuole bene, un gruppo di amici cari e il lavoro che amo: se non sono felice io...».