Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  agosto 03 Martedì calendario

I flirt estivi di Paolo Crepet

Paolo Crepet, lei si innamorava spesso da ragazzo?
«Ma no, ho sempre selezionato con oculatezza i miei amori». 
Anche d’estate? 
«Ho sempre inseguito la bellezza come forma di rarità, intelligenza, originalità». 
C’è un amore «originale» che oggi ricorda con una certa indulgente nostalgia? 
«Una giovane infermiera di Bonn, che conobbi su un’isola greca, più o meno nel 1976». 
Isola greca, scenario ideale. 
«Per la precisione, andammo al cimitero locale». 
Eh? 
«Guardi, detta così potrebbe sembrare un’assurdità, ma, mi creda, sull’isola di Ios, un posto bellissimo delle Cicladi, c’è un cimitero suggestivo». 
Va bene, però forse una spiaggia al tramonto sarebbe stata più adatta per osare un timido bacio. 
«No, perché quella ragazza aveva i capelli lunghi e degli abiti molto belli, colorati e svolazzanti. Quel cimitero si trovava su una collina, era attraversato da un venticello rinfrescante, malizioso». 
Eros e Thanatos. 
«Esattamente. Non ho mai amato gli amori banali e anche in casi come questo, cioè di flirt più o meno giovanili, ho sempre cercato qualcosa di profondo, provando a evitare la superficialità». 
Ma andiamo per ordine. Nel 1976 lei divenne medico, poi nel 1982 lascerà Padova per seguire Franco Basaglia a Roma. La strada della psichiatria, insomma, era sua e lei era un professionista giovane, sì, ma già conosciuto. 
«Stavo tracciando il mio solco in questo campo. Frequentavo amici come Francesco – ometto il cognome ma dico che oggi è un famoso immunologo – con il quale facevamo lunghi giri in moto per l’Italia. In quella occasione, in Grecia, andammo assieme e fu una vera avventura». 
Racconti. 
«Ci muovemmo con le moto ma all’altezza di Settebagni le nostre Triumph si fermarono. Non le dico: proseguimmo a spinte e non so come raggiungemmo poi l’isola greca. Per fortuna la ragazza di Bonn mi fece dimenticare le disavventure logistiche». 
L’ha più cercata, dopo? 
«Lei mi aveva lasciato un numero e in effetti nei mesi successivi ho provato a rintracciarla, ma senza successo. Mica era come oggi, che diventa impossibile dirsi addio, connessi come siamo». 
Magari non ha voluto farsi trovare. 
«Può darsi, ma io comunque ci ho provato. A riprova che non ero un superficialotto. Sa, per me contano i dettagli. Un colore, un profumo, una scenografia giusta». 
Ecco, forse il cimitero non era proprio l’ideale. 
«Anche lei apprezzò e trascorremmo una vacanza piacevole, senza nulla di sconveniente. Passeggiate, chiacchierate. Un ricordo molto bello il suo, per me». 
E Francesco lo avevate liquidato? 
«Ma no, con lui abbiamo spesso fatto vacanze assieme. Io poi ho fatto anche vacanze in barca, come quella volta, nell’estate del 1982, che mi trovavo a Boston per motivi di ricerca e lavoro». 
Che cosa accadde? 
«Ero, appunto, in America quando un amico mi chiamò per dirmi che lui sarebbe arrivato dalle parti di Newport con la sua barca e la sua nuova fidanzata, che definì “catastalmente interessante”». 
Cioè? 
«Ricca». 
Ah. 
«Dunque, andai al porto». 
Già, perché se la fidanzata del suo amico era «catastalmente interessante», magari poteva avere delle amiche. 
«E, pensi un po’, mi incantai davanti alla skipper». 
Com’era? 
«Fortissima, robusta, una che aveva attraversato l’Atlantico in solitaria, una donna che ti fulminava con lo sguardo. Io ero un imbranato. Feci anche una figuraccia». 
Perché? 
«Perché le chiesi: “Scusi, sa dov’è la mia camera?”, invece di chiedere della mia “cabina”, come chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le barche avrebbe fatto». 
Insomma, non se ne fece nulla. 
«No ma mi divertii lo stesso. Quell’estate ebbi modo di conoscere il team di Azzurra, che aveva appena avuto “la benedizione” dell’Aga Khan e di Gianni Agnelli». 
Oggi che lei è felicemente accasato, ricorda un amore del passato con particolare struggimento? 
«No, ma ricordo quando una volta una delle mie fidanzate mi lasciò scrivendo sullo specchio del bagno, con il rossetto, “ça suffit”, cioè “basta”». 
Molto chiaro. 
«Sì, molto chiaro».