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 2021  luglio 13 Martedì calendario

Biografia di Assunta Almirante (Raffaella Assunta Stramandinoli)

Assunta Almirante (Raffaella Assunta Stramandinoli), nata a Catanzaro il 14 luglio 1921 (100 anni). Imprenditrice agricola. Vedova di Giorgio Almirante (1914-1988), cofondatore (1946) nonché storico segretario (1948-1950; 1969-1987) e presidente (1988) del Movimento sociale italiano. «Sono imperatrice madre. Il popolo missino è mio» • «Se qualcuno dice “Raffaella”, certo che mi giro. Ma Assunta è sempre stato il mio vero nome, che da secondo – al battesimo – si è mangiato il primo» (a Giovanni Rossi) • Molto scarse e frammentarie le informazioni relative al primo trentennio della sua vita, trascorso perlopiù in Calabria. «Mi ricorda la sua vita da bambina? “Normale, felice, a Catanzaro, niente di particolare”» (Claudio Sabelli Fioretti). Giovanissima sposò, con un matrimonio combinato, il marchese Federico de’ Medici, «persona di primissimo ordine, ottima famiglia. Io avevo 17 anni, lui 49 [in altre interviste però la differenza d’età è variamente ridotta, talvolta di oltre dieci anni – ndr]». «Quando l’ho conosciuto, […] io ero una fanciulla cresciuta in collegio, non sapevo ancora nulla dell’amore. Marco, Marianna e Leopoldo sono i nostri figli» (a Pierluigi Diaco). «Lei era fascista da giovane? “La famiglia del mio primo marito era monarchica, anzi liberale. Ma tutti votavamo per un parente democristiano, l’avvocato Salvatore Foderaro”. I suoi miti? Le sue canzoni? “Avevamo il culto della cucina. Io suonavo e cantavo benissimo”» (Sabelli Fioretti). Ben presto iniziò a occuparsi in prima persona della gestione dei grandi possedimenti terrieri di famiglia. «“Io sono sempre stata un capo famiglia. In quel periodo dirigevo le aziende agricole” a Catanzaro, “e non era una cosa ovvia. Ogni giorno avevo a che fare con gli uomini, uomini che avevano di certo qualche difficoltà a prendere ordini da una donna”. E, di momenti duri, ce ne sono stati, ma, ammette Donna Assunta, “non mi sono mai sentita messa all’angolo: certamente non era un periodo facile, soprattutto per una donna, perché bisognava lottare con i gomiti per cercare di avere quello che per legge ci spettava. E io però non ho mai scelto una strada di comodo. Insomma, ho deciso di non fare l’ancella, ma la capobanda”» (Donatella Di Nitto). Un giorno, nel 1951, recatasi a Cirò Marina presso il conte Sabatini, suo parente, per la vendita di una grossa partita d’uva, conobbe Giorgio Almirante, all’epoca già sposato – ma solo con rito civile, contratto nella Repubblica di San Marino – con Gabriella Magnatti, nonché padre di una bambina, Rita. «Colpo di fulmine? “Da parte sua, sì. Per me no. […] Ancora non lo conoscevo, ma accompagno dei miei amici per ascoltare questa giovane promessa politica. Tutti ad ascoltarlo, affascinati, io mi rompevo un po’, così tolgo dal cappellino uno spillo e inizio a infastidire quelli davanti. E lui, dal balcone dove parlava, se ne accorge, e alla fine mi fa: ‘Mi ha preso in giro, disturbava’”. E lei? “Gli ho risposto che erano miei amici, ma lui, non contento, ha insistito: ‘Mi ha distratto’. ‘Ah sì? Peggio per lei’”. Caratterino, il suo. […] La prima impressione su Almirante? “Vestiva malissimo, da vergognarsi, con la camicia alla Robespierre, i sandali e le unghie di fuori”» (Alessandro Ferrucci). «Era smunto, avvolto in un impermeabile: con le amiche ridemmo di lui. Ma mi colpì la sua capacità di eloquio». «Due cose mi colpirono di lui: l’eloquenza da incantatore e la bellezza. Era bellissimo». «Dopo il comizio, il caso volle che ci ritrovassimo a tavola insieme, ospiti della stessa persona, che era un caro amico di famiglia». «Poi con l’autista l’ho portato in aeroporto, e in seguito ci siamo rivisti a Roma per un favore a nome di un’amica». «Una mia amica mi aveva chiesto di aiutarla a trovare una raccomandazione per un concorso presso il parente deputato Foderaro. Io le dissi: “Guarda che, Foderaro, noi lo chiamiamo ‘onorevole promessa’, perché promette promette e poi non fa niente. Piuttosto, proviamo con Almirante». «Mi sembrava una persona affidabile, un uomo gentile e cortese, serio. Le promisi che gliene avrei parlato. Così mi recai alla sede del partito, ma mi dissero che Almirante non c’era: era andato a Bolzano. Lasciai il mio numero di telefono e me ne andai. Mi telefonò quella sera stessa, tardissimo. Saranno state le 23.30. Gli dissi che ero appena rientrata, che avevo ancora indosso la pelliccia e il cappello, e che sarebbe stato meglio risentirci in un altro momento. Ma lui mi rispose: “Beh, se è ancora in queste condizioni potremmo anche vederci subito”. Così scesi e lo raggiunsi. Mi portò a mangiare in una di quelle trattorie in cui lui di solito si recava. Non ero abituata a quel tipo di ambiente: c’era una confusione incredibile, tutti parlavano ad alta voce. Fu il nostro primo appuntamento». «Almirante la raccomandò. E la mia amica vinse il concorso». «Fui colpita dai suoi modi gentili, dalla sua intelligenza e anche dai suoi occhi affascinanti. Era bellissimo. Alle prime uscite mi portava in alcune bettole di Trastevere, e alla fine ne fui sedotta» (a Gianluca Veneziani). «Lui girava per l’Italia in lungo e in largo, e io non lo abbandonavo un istante. Eravamo amanti e lui era ufficialmente ancora sposato. Viaggiavo al suo seguito con grandissima discrezione. Mai insieme nei luoghi pubblici e camere sempre separate negli alberghi. Una discrezione così efficace che per anni, per sei anni, dal ’52, pur essendo Giorgio un politico circondato da innumerevoli affezionati e militanti a ogni ora del giorno, nessuno si accorse mai di nulla. Poi, un giorno, a Venezia, il “fattaccio” venne alla luce. Era il 1958. Se ne accorsero due deputati missini, Franco Franchi e Ferruccio De Michieli Vitturi, i quali, casualmente, in treno, stavano per entrare nello scompartimento di Giorgio, opportunamente chiuso da discrete tendine. Entrambi, ingenuamente, pensando che il loro leader viaggiasse da solo, per parlargli aprirono le porte scorrevoli e sollevarono le complici tendine. Io e Giorgio eravamo abbracciati e ci stavamo baciando così focosamente che neanche ce ne accorgemmo. Così ci sorpresero». Quello stesso anno nacque la loro unica figlia, Giuliana. «A quel tempo, il divorzio in Italia non era ancora possibile, e così, […] all’arrivo di Giuliana, “il marchese De’ Medici – questo, ora, è il ricordo di Donna Assunta –, un uomo generoso, perbene, un uomo d’altri tempi, nonostante ci fossimo già separati volle comunque che Giuliana portasse il suo cognome”» (Fabrizio Roncone). «Lei e Almirante siete stati rivoluzionari nei costumi, coppia non sposata e con figli negli anni Cinquanta: a casa come la presero? “Non mi hanno mai detto nulla, mi hanno sempre rispettata”. Tutti d’accordo? “No, non lo era nessuno, però non mi hanno mai contrastata: la mia era una famiglia moderna, avevo già casa mia a Roma, frequentavo stilisti, il Teatro dell’Opera, viaggiavo”» (Ferrucci). Nel 1968, quando Almirante già si era separato dalla moglie, il marchese Federico de’ Medici morì. «Io ero libera, e mi trasferii a Roma. I bambini erano piccoli: per loro il papà fu Giorgio. Quando tornava a casa mi salutava appena – “Ciao, zio Adolfo”: così mi chiamava –, poi si metteva a fare la lotta con i miei figli. Erano tremendi, gli strappavano la camicia. Lo difendeva la tata (anche quella portata dalla Calabria). Guai a chi le toccava l’onorevole…» (a Gianluca Semprini). «Amò i figli del mio primo matrimonio come se fossero i suoi. Si occupava lui di tutto: della scuola, per esempio. Io avevo delle proprietà in Calabria e spesso ero costretta a viaggiare, dunque lui seguiva i bambini in ogni loro necessità, e lo faceva con grande amore. Era profondamente credente. E buono. […] Ovunque fossimo, in giro per l’Italia, la domenica mattina andavamo alla Messa». «Nel 1969 Giorgio è molto malato. In ospedale gli è stato riscontrato un papilloma alla vescica e i medici premono per un intervento chirurgico: si sospetta possa essere un tumore. […] Lui, più volte, da cattolico fervente, mi prega di sposarlo con rito religioso. Cosa che io non voglio. Mi chiama don Spiazzi, suo padre spirituale. […] “Tu non ti vuoi sposare”, mi disse, “ma, se lui ha un tumore e se ne andrà per sempre, perché negargli la gioia di essere sposato?”. Continuai a essere riluttante, ma alla fine mi convinse. Ci unimmo con il matrimonio di coscienza, matrimonio religioso che si trascrive solo in parrocchia. Ci sposammo nella clinica Villa del Rosario a Roma, dov’era ricoverato. Ufficiò la cerimonia proprio don Spiazzi. Io ero in campagna, a Pontinia: tornai nella capitale, feci la doccia, mi cambiai, andai in clinica e ci sposammo. Poi Giorgio fu operato». «Delle mie nozze […] non ho neppure una foto». «Lei era favorevole al divorzio. “Favorevolissima”. Almirante era contrario. “No, Almirante era favorevole. Ma il segretario del partito, Michelini, aveva preso impegni con la Dc”. Poi Michelini morì. Almirante divenne segretario. E fece, lui divorziato, la campagna per l’abrogazione del divorzio. “L’esecutivo del Msi lo aveva messo in minoranza”» (Sabelli Fioretti). «Quando lo ha conosciuto, come andava vestito? “Malmesso. Trasandato. Sembrava un profeta. Barba lunga, camicie stranissime, un impermeabile nero che indossava sempre e dovunque. È stata la prima cosa che ho buttato. Poi ho buttato tutto. Aprivo il suo armadio e buttavo”. E si inventò il doppiopetto. “Gli stava benissimo. Litrico mandava un suo uomo a prendergli le misure all’ora di pranzo”. Era proprio negato? “Del tutto. Spesso arrivava a casa con delle scarpe larghissime”. Rubava le scarpe? “Viaggiava in terza classe, di notte. La mattina si metteva le prime scarpe che trovava nello scompartimento. Arrivava a casa e mi diceva: ‘Ma sai che queste scarpe mi vanno larghe?’. Spesso alla Camera sbagliava il cappotto e si prendeva quello di Forlani. Oppure tornava a casa con il cappello di un deputato siciliano, mi sembra si chiamasse Martorano”» (Sabelli Fioretti). «Compravo tutto io, e gli facevo trovare la mattina gli abiti da indossare sulla sedia». «Lei era la ricca dei due… “Non mi sono mai lasciata mantenere, ho sempre lavorato: a ognuno il suo conto. Quando l’ho conosciuto lui non aveva la macchina, io già possedevo la 130”» (Ferrucci). «Con Giorgio, in macchina, si cantava spesso. Ma lui ci riempiva di canzoni militari, o montanare. “Quel mazzolin di fiori che vien dalla montagna”. La nostra canzone era Vogliamoci tanto bene, amore mio: Renato Rascel». «Una volta abbiamo fatto pure un incidente d’auto. […] Cantava, si distrasse, mollò lo sterzo e finimmo fuori strada. Mi feci male a una gamba. Invalida al 30 per cento» (ad Alberto Mattioli). «Lo seguiva spesso nei suoi viaggi di lavoro? “Specialmente quando ho capito che non stava più bene”. Per curarlo o per goderselo? “Tutti e due: Giorgio era molto trasandato e molto impegnato: lo obbligavo a farsi il bagno la sera, poi lavorava in pigiama, altrimenti la mattina lo avrebbe saltato per la fretta”. […]«Dal 1952 al 1988: 36 anni al fianco dell’uomo simbolo di un’area politica non sdoganata. Politica a pranzo e a cena? “Il partito era la vita. A Giorgio allacciavo le scarpe e sceglievo le giacche. Ma ero anche la sua coscienza critica”» (Rossi). «Sono stati 40 anni meravigliosi con un uomo fuori dal comune e di grande pulizia morale. Parlavamo spesso di politica, e lui a volte mi chiamava “zio Adolfo”. Lo faceva quando trascorrevamo dei periodi nei miei possedimenti in campagna. Mi diceva: ma come, io predico la socializzazione e tu sfrutti i contadini? E io gli rispondevo: se non vuoi, non ci venire» (a Mimmo Di Marzio). «Pochi sanno che la sala da pranzo di casa Almirante era un crocevia della politica italiana… “Mamma mia, da qui passavano tutti: Craxi, i potenti della Dc… Quando erano in crisi, avevano bisogno che Giorgio aprisse il suo ombrello. E io aprivo la cucina”. Donna Assunta in cucina? “E certo: mi annoiavo da morire a sentire i loro discorsi. Preparavo l’aperitivo – vino bianco, qualche tramezzino fatto a mano, salmone, parmigiano –, poi in cucina. La pasta e ceci di Donna Assunta, l’ha mangiata mezza Roma”. Anche i colonnelli del partito si sfamavano alla sua tavola? “Soltanto nelle grandi occasioni, quando a Sabaudia organizzavo anche cene per duecento persone”. Mica cucinava lei per tutti… “E chi, se no? Pasta imbottita, che sarebbe un timballo alla calabrese, lasagne, sartù di riso. Secondo la tradizione della cucina del Sud, la migliore del mondo. Mica come in Giappone. A cena dall’imperatore Hirohito era terribile. In quel viaggio persi 5 chili in due settimane. Ci salvò un ristoratore italiano di Tokyo, che aveva saputo della nostra presenza dalla tv. A tavola ci scatenammo. Mentre parlavo, il mio vicino mi rubò il piatto di gnocchi. Si mangiava meglio dallo scià di Persia. Servirono il gelato alle rose, squisito”» (Semprini). • «La mia amicizia con Francesco Cossiga è cominciata perché lui da ministro dell’Interno si preoccupava di Giorgio che girava senza scorta». Intanto la Almirante continuava a occuparsi proficuamente dei possedimenti di famiglia, sviluppandoli e ampliandoli, dalla Calabria all’Agro Pontino fino all’Umbria, variando le produzioni tra vino, frutta e tabacco, fino a dedicarsi anche all’allevamento di bestiame, importando persino – tra i primi in Italia – le vacche frisone dai Paesi Bassi. In tal modo, peraltro, riusciva a sostenere concretamente l’attività del marito e del partito: «Ho firmato quintali di cambiali, tutte garantite dal mio lavoro. Nessuno ci affittava immobili per le sedi: le dovevamo comprare». «Giorgio si fidava molto di me. Prendevamo molte decisioni insieme. Al partito lo sapevano, perciò, siccome mio marito aveva un carattere chiuso, venivano da me: “Donna Assunta, io vorrei far parte della segreteria, del comitato centrale…”. A casa, con Giorgio, prendevo l’argomento alla larga. Gli dicevo: “Hai visto quello com’è sveglio, ti potrebbe servire in segreteria…”». «Nel 1987 lei sponsorizzò alla segreteria del partito Gianfranco Fini. Suo marito aveva dubbi su quella scelta? “Sì, io credevo in Fini, sbagliandomi. Ma anche mio marito era convinto che il partito avesse bisogno di un giovane che non avesse avuto rapporti col fascismo e che potesse portare avanti un Msi rinvigorito, con dietro le spalle però un ‘grande vecchio’. Purtroppo il buon Dio ha cambiato le carte in tavola, e Fini si è ritrovato da solo. Poi… no comment”» (Veneziani). «Mio marito mi voleva bene e mi ascoltava: e questo lo sapeva pure Pino Romualdi, che arrivò persino a scrivermi una lettera… […] Più o meno, Pino mi scrisse questo: cara Assunta, tu consigli sempre Giorgio a fin di bene, però questo Fini, a parte che è giovane e sa parlare, è anche quello che ha distrutto il Fronte della gioventù, e, come ha distrutto il Fronte, può distruggere il Movimento sociale italiano». «Fini è stata una delusione troppo forte, anche quando Giorgio era vivo. Non ha il temperamento: per essere leader bisogna essere innanzitutto coraggiosi, e poi costanti nel lavoro. Lui è un signorino, è uno pigro. Non è un lavoratore» • Dalla morte del marito, occorsa a 73 anni il 22 maggio 1988 – «Erano le nove del mattino. Ha sgranato gli occhi azzurri. Mi ha stretto un braccio, ha reclinato la testa e se ne è andato» –, «Donna Assunta ne custodisce la memoria. È ancorata a un mondo che non c’è più. […] “Io sono rimasta ferma al congresso di Sorrento”» (Concetto Vecchio). «La mia battaglia è iniziata a Fiuggi (1995). Non volevo che nascesse Alleanza nazionale, ma ero favorevole all’accordo con Berlusconi, senza svendere la casa dove si è padroni». «La svolta democratica, tanto per capirci, l’aveva già elaborata [Almirante – ndr] con la fondazione di Destra nazionale. Il congresso di Fiuggi ha solo ribadito i punti fondanti del pensiero di Giorgio: è stata un’abile verniciatura, un maquillage del tutto superficiale». «“È stato lo sbaglio peggiore, la morte di tutto. E io, che l’avevo previsto, non ho potuto fare nulla per impedirlo”. Cosa ricorda di quel congresso del gennaio 1995? “È proprio questo il punto: non fu un congresso vero. La nostra gente quel giorno non c’era, e la decisione di sciogliere l’Msi e di trasformarlo in un partito di governo fu calata dall’alto. Vidi scene indegne, esponenti del partito che votavano con due mani, tanto che io e Antonino La Russa ce ne andammo via furibondi”» (Di Marzio). «Io sono sempre stata contraria alla svolta di Fiug­gi e alla fusione nel Pdl. E l’ho detto pure a Berlusco­ni» (a Francesco Cramer). «“Dalla ‘svolta’ di Fiuggi, solo errori. E sfilacciamenti”. An, poi Fli, La destra, Fdi, Forza nuova, Casa Pound. “È il Paese che corre scomposto. Anche a sinistra tutto è cambiato. Forse perché mancano uomini come Giorgio Almirante o Enrico Berlinguer. Politici con un forte senso morale. Lontani da ogni meschinità. Sto ancora male se penso alla casa di Montecarlo, eredità del partito, finita ai familiari di Fini”» (Rossi). Attivissima in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita di Almirante, si è più volte battuta per l’intitolazione di una strada di Roma al marito • Cattolica praticante, apprezza papa Francesco. «A me sta molto simpatico. È umano e sa parlare alla gente» • Impegnata in attività di beneficenza. «Ho una Fondazione nel nome di Giorgio. […] Compro ambulanze, mi occupo di bimbi malati» (ad Andrea Garibaldi) • «Lei ha dichiarato di non essere “mai stata fascista né missina”. “Vero, non ho mai abbracciato in toto la loro cultura. Ho solo amato fino in fondo il concetto di Patria: mi sento italiana e calabrese. Questa idea, l’ho portata in giro per il mondo”» (Ferrucci). «Sono sempre stata di destra. Ma anche un po’ di sinistra, nel mio intimo. Penso con la mia testa». «Non ho mai sopportato il reducismo. Il saluto romano mi piace solo per motivi igienici: odio le mani sudate». «La destra abita dentro ognuno di noi. […] Gli italiani, in fondo in fondo, sono tutti un po’ di destra. […] Primo, perché il valore della famiglia, che è un valore riconosciuto da tutti i nostri connazionali, è un valore di destra. Secondo, perché abbiamo fede in Dio, anche se a messa vedo sempre meno persone» • «Fin da ragazza ho odiato certe ingiustizie della mia classe. Non riuscivo a concepire che nelle nostre ville immerse tra ulivi e aranceti ci fossero due cucine separate: una per i padroni e una per la servitù» • Molto scettica sulla partecipazione femminile alla politica, a partire dal riconoscimento del diritto di voto. «Il suffragio universale “fu un evento di spettacolo” (Di Nitto). «Basta, con questa moda delle donne in politica. Sono contraria. Una donna non avrà mai l’autorità per prevalere» (a Fabrizio D’Esposito). «Quali donne in politica stima? “Era bravissima Nilde Iotti: nessuna più è stata alla sua altezza”» (Di Pietro) • Fumatrice • «È la memoria di una destra italiana (e romana) attorcigliata tra slanci e recriminazioni» (Rossi). «Vedova dello storico leader missino, è la prosecuzione immaginaria del suo verbo, idolatrata e ricercata, temuta. […] Carattere deciso, molto franco» (Ferrucci). «Sempre lucida e combattiva» (Mattioli). «È il tipo classico del potere carismatico: fosse vivo Max Weber, il grande sociologo della prima metà del Novecento, avrebbe studiato il suo caso» (Giuliano Ferrara) • «Craxi, lo ha conosciuto bene? “È venuto anche a pranzo. Bella testa, aveva grandi capacità politiche. Mica come quelli di ora”. […] Le piaceva Berlinguer? “Che persona splendida. Si vedevano con Giorgio, specialmente nei momenti più bui e pericolosi. […] Berlinguer era una persona perbene, anche sua figlia Bianca lo è”» (Ferrucci). «Mattarella è un galantuomo, una persona perbene. Averne. Era amico anche di mio marito» • «“Berlusconi ha avuto la capacità e la fortuna di avere l’Italia in mano, ma purtroppo è riuscito a farsela sfuggire. Certo, non è stato aiutato: i suoi l’hanno lasciato da solo, e ci si sono messi anche i giudici…”. E Alessandra Mussolini? “Che deve fare quella? Ha pure aperto una pizzeria. Può fare tutto perché non è una vera Mussolini. Lei è goliardica, non è una persona seria come il nonno. Il suo cognome non le sta addosso”. «Giorgio durante la Rsi aiutò Emanuele Levi e la sua famiglia, salvandoli da un rastrellamento, e la cortesia gli venne ricambiata dall’amico nel dopoguerra. La storia di Giorgio antiebraico è una fandonia. Lo sa che una amica ebrea ha fatto piantare due ulivi dedicati a lui sul monte Sinai?».