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 2021  agosto 03 Martedì calendario

Dieci anni fa partì la crisi di Mps

Le cose andavano male già da un po’, ma nessuno era allarmato. Ma il 2 agosto di dieci anni fa – il terribile 2011, anno che segnerà uno spartiacque nella storia recente del Paese – qualcosa accade. In Consob arriva un esposto anonimo che segnala strane transazioni con soggetti esterni all’istituto. Operazioni grosse, un totale di 3 miliardi in titoli di Stato poste in essere dalla banca con una sola controparte, vale a dire Nomura. Nell’esposto si parla anche di vendita anomala di titoli strutturati. Nomi e fatti che poi saranno oggetti di inchieste giudiziarie ed entreranno nella cronistoria del naufragio del Monte, iniziato il giorno in cui, nel novembre 2007, fu deciso senza due diligence l’acquisto della Banca Antonveneta per circa 10 miliardi (più sette di accollo dell’indebitamento infragruppo Santander), un cifra-monstre rispetto alle valutazioni oggettive dell’istituto padovano – cioè al netto dei multipli fantasiosi dell’epoca, appena precedente il crollo di Lehman – ma anche alla luce di ispezioni Bankitalia che ne mettevano in luce le debolezze. L’esposto piomba in Consob appena tre giorni prima, e forse è una beffa della storia, dell’arrivo sul tavolo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi della celebre lettera della Bce del 5 agosto a firma del presidente uscente Jean Claude Trichet e dell’appena nominato Mario Draghi (si insedierà il 1 novembre), in cui si mettono in fila tutte le riforme che l’Italia deve fare per rimettersi in sesto. Lo spread già vola: il 4 agosto tocca 389 punti, scenderà poco in settembre e poi il picco in novembre, 574 punti, la spinta finale per le dimissioni del Cavaliere e l’insediamento di Mario Monti, che ha il programma già scritto. Che c’entra Mps? C’entra eccome. La Banca d’Italia già da due anni ha avviato verifiche sulle operazioni che servono per cercare di tenere in piedi la struttura finanziaria servita per comprare Antonveneta e alla Fondazione di mantenere il 51%, si avviano i tristemente famosi derivati (per primo Alexandria) per spalmare le perdite, il governo vara il primo bond di sostegno. Ma ancora evidentemente si pensa (non tutti, certo, ma imperava il pensiero unico del terzo polo, senza obiezioni) che le difficoltà fossero passeggere, causa la crisi dei mercati. Ma la crisi va via verso i debiti sovrani, le cose si mettono da male in peggio, Bankitalia avvia un’ispezione proprio mentre il presidente Mps, Giuseppe Mussari, viene nominato presidente dell’Abi. Insomma, la sensazione che viene trasmessa è che si tratta di problemi superabili, e basta con il solito disfattismo. Nel 2011 il Monte porta a casa un aumento di capitale da 2 miliardi, la Fondazione è indebitata con le banche. A novembre il Tesoro colloca 2,5 miliardi di BTp decennali a un rendimento del 7,56%, che non si raggiungeva dal 1997. La voce che si raccoglie allora tra Via Nazionale e Via venti Settembre è che il Monte abbia fatto per quanto possibile il pieno di questi titoli super-redditizi, e per raccogliere liquidità abbia svuotato pure i bancomat, tanto che sarebbe stata necessaria una spedizione di banconote. Ad ogni modo a gennaio iniziano gli scossoni veri, di dimette il dg Antonio Vigni, il bilancio si chiude con una perdita di 4,6 miliardi, la Banca d’Italia chiude la seconda ispezione con pesanti rilievi. Il disastro è completo.