il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2021
Intervista a Gianfranco Viesti: «Oddio, si è ristretto il Nord»
“Oddio, si è ristretto il Nord!”.
Lei, professor Gianfranco Viesti, è il narratore quotidiano di un Sud disagiato e depresso, vittima di una sperequazione economica che lo tiene distanziato dal resto d’Italia. Invece i guai aumentano anche altrove.
Il Sud è quello che è. La brutta novità è che il Nord, la locomotiva, perde pezzi e alcuni suoi vagoni, fiore all’occhiello di una economia dinamica, progressiva, aperta e circolare, sono fermi su un binario morto.
Quanto è sfiorito il corpo del nord?
La Liguria è in una costante, perenne regressione. Così pure il Piemonte, ad eccezione del grande polo alimentare del cuneese e di altri limitati distretti. Ma ci sono regioni, penso all’Umbria e alle Marche, che erano il volto vincente del made in Italy e ora sono in grave ambasce.
Cosa dicono i numeri?
Sono numeri sbalorditivi, dei quali purtroppo non si fa cenno. Fatto cento il reddito medio europeo (e si badi che la media considera i redditi anche degli ingressi dei paesi dell’Est) un cittadino umbro agli inizi del duemila valeva 118, dunque era più ricco del 18%, nel 2018 il suo reddito si è ridotto così tanto da essere il 16% in meno della media, stimato a 84.
È un segno di un tonfo enorme.
Il vento è così cambiato che un’altra regione gemella per qualità della vita, come le Marche, adesso è infilata in un tunnel interminabile. Crisi industriali su crisi industriali.
Ma perché?
Perché il mondo è cambiato col nuovo secolo e l’Italia non è riuscita ad adattarsi. Siamo rimasti con la testa al Novecento e non ci siamo accorti che siamo molto meno competitivi, da quando l’Asia è entrata nel mercato globale, paghiamo la concorrenza dell’est europeo, siamo molto meno competitivi e non sufficientemente innovativi come invece lo è la Germania, e infine siamo fuori dai grandi poli della digitalizzazione. Sono altrove, e noi spettatori silenti.
Eravamo abituati a dire che il sud è povero e il nord è ricco.
Narrazione pigra, che dice una verità incompleta. Secondo lei perché il rosso con cui era politicamente colorata l’Italia centrale è andato sbiadendo? I cittadini delle Marche e dell’Umbria lo sanno, e infatti hanno cambiato segno al governo regionale. E così la Toscana meridionale. La crisi di Torino è emblematica. Nel Novecento era la capitale del Sud perché era l’approdo dei meridionali. Ora lo è per una quasi omogeneità della crisi economica con quella delle grandi città del Mezzogiorno.
Il nord si è così ristretto che la sua gloria vive sul triangolo Milano-Bologna-Treviso?
Troppo poco. Un Paese intero non lo tira una locomotiva così rimpicciolita.
E perché non se ne parla?
Perché la crisi è vissuta da territori poco influenti politicamente. Questa grande crisi del cuore verde d’Italia non arriva in tv, è lasciata sola in un disagio che è vasto ma silenzioso.
L’Italia sta correndo, secondo gli ultimi dati Istat, dopo la voragine prodotta dalla pandemia.
L’Italia ricca è sempre più piccola, quella povera oppure di recente impoverimento, è sempre più ampia.
L’Umbria però non è la nuova Calabria.
Naturalmente no. Ma è stata superata l’anno scorso, nella crescita del Pil, dall’Abruzzo e dalla Campania. E non è stata una sconfitta virtuosa. C’è chi fa meno peggio, non c’è chi fa meglio o molto meglio. Non ce la caviamo più se aggiungiamo alle vecchie povertà alcune nuove.
L’Umbria lumaca, le Marche ammaccate, la Toscana depressa, la Liguria incartapecorita, Torino come Napoli.
È la realtà che il nuovo secolo va disegnando. Prima ce ne accorgiamo, prima corriamo ai ripari e meglio sarà per tutti.