il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2021
Perché nessuno vuole più ospitare le Olimpiadi
Un tempo facevano a gara. Per una città, ospitare le Olimpiadi era tra i massimi onori, e la lista delle concorrenti molto lunga. Detroit, negli Stati Uniti, ci ha provato non meno di nove volte tra il 1944 e il 1972, perdendo ogni singola volta.
Oggi però l’entusiasmo per i Giochi è sfumato e nessuna città nel mondo vuole più ospitarne un’edizione. La settimana scorsa abbiamo assistituo allo spettacolo straordinaio delle prime Olimpiadi organizzate a porte chiuse in un paese dove, solo pochi mesi prima del suo inizio, l’83% della popolazione si diceva contraria al loro svolgimento. I residenti di Tokyo temevano soprattutto che i visitatori avrebbero portato in città nuove varianti di Covid-19, in un Paese dove meno di un terzo della popolazione è vaccinata.
Ma non c’è solo questo. Le città che hanno ospitato i Giochi negli scorsi anni, come Rio de Janeiro o Atene, hanno dovuto investire grandi quantità di denaro in infrastrutture, partendo da bilanci pubblici già accidentati, e alla fine si sono ritrovate con stadi e villaggi olimpici abbandonati. Alcuni sindaci e alcuni politici continuano a inseguire la gloria dei cinque cerchi, ma i cittadini, che devono effettivamente convivere con le Olimpiadi e le loro conseguenze, sperano invece che il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) volga lo sguardo da un’altra parte.
Negli ultimi anni sono tante le città che hanno ritirato la candidatura, spesso a seguito di un referendum decisivo. È successo a Boston, Calgary, Innsbruck, Monaco, Amburgo, Oslo e Berna. Il caso più imbarazzante è stato quello di Denver, che si è tirata indietro dopo essere stata nominata. Nel 2004 erano undici le città ad aver inoltrato la candidatura per ospitare i Giochi. Vent’anni dopo, in corsa per le Olimpiadi il 2024 ce n’erano solo due: Parigi e Los Angeles, dopo il ritiro degli altri concorrenti, tra cui Roma. Temendo che la lista potesse scendere a zero, il Comitato olimpico si è affrettato a incoronare entrambe le candidate rimaste: Parigi per il 2024 e Los Angeles per il 2028. La settimana scorsa, il Cio ha anche annunciato il vincitore del 2032, Brisbane, che era l’unica città rimasta in gara dopo che l’esclusione delle altre.
Tutto ciò dimostra che il modello delle Olimpiadi, per com’è oggi, è insostenibile. La macchina funziona ottimamente per gli atleti, i media partner, gli sponsor e i dirigenti sportivi. Ma per le città ospitanti è un’impresa costosa, iniqua e impraticabile. Nessuno crede più alle fulgide promesse di vantaggi economici e grandiosi sviluppi portati dalla fiaccola olimpica.
Esiste tuttavia una soluzione a questa impasse. Innanzitutto, i Giochi vanno ridimensionati in modo che possano trasformarsi in eventi inclusivi e non esclusivi. L’attrazione principale delle Olimpiadi sono gli atleti e le loro imprese uniche, che la stragrande maggioranza di noi non può ammirare di persona, ma guarda alla tv. Le gare non hanno bisogno di svolgersi in palazzi maestosi o in cattedrali: ambienti più intimi possono andare bene lo stesso e risultare anche più attraenti dello sfarzo che ha contagiato i Giochi come una peste dorata. Oltre al fatto che si risparmierebbero molti soldi. È questo il primo passo per attrarre quelle città che al momento sono escluse dalla partita delle Olimpiadi.
Ma non è abbastanza. Il Cio dovrebbe anche aiutare le città che non hanno le infrastrutture necessarie, che amano lo sport ma magari non possono permettersi di edificare un nuovo stadio. Torniamo al caso di Detroit: gli abitanti vanno pazzi per lo sport almeno da quella incredibile stagione 1935-36 in cui, nello stesso anno, i Tigers vinsero le World Series del baseball, i Detroit Lions il campionato di football NFL, i Red Wings la Stanley Cup di hockey su ghiaccio e Joe Louis ha battuto Primo Carnera diventando il più grande pugile della sua epoca.
Eppure, accostare il nome delle Olimpiadi a quello di Detroit ancora oggi è un modo sicuro per attirarsi un coro unanime di critiche. Da un lato, da chi pensa che Detroit non sia adatta ai Giochi, dall’altro da chi pensa (e sono sempre di più a farlo) che i Giochi non porterebbero alla città niente di buono.
Pensiamo a cosa potrebbe accadere se il Cio, invece di esigere investimenti pubblici dalle città ospiti, cominciasse a contribuire con una parte dei suoi enormi introiti per finanziare l’espansione del sistema di trasporto pubblico, la costruzione del Villaggio olimpico, anche in una forma più economica, e il rinnovo delle strutture già esistenti al posto di chiederne di costruirne altre da zero. Insomma, bisognerebbe smettere di chiedersi cosa può fare una città per le Olimpiadi e cominciare a chiedersi cosa possono fare le Olimpiadi per una città.