Comunque alle soglie degli ottantacinque anni, che compirà il 3 ottobre, il compositore statunitense — “il pensatore musicale più originale del nostro tempo” secondo l’influente critico del New Yorker Alex Ross — sembra osservare con distacco serafico il complesso delle sue opere, in cui ha espresso le istanze progressiste della società americana degli ultimi decenni, ma delle quali adesso lo interessa solo la bellezza formale. Il suo primo capolavoro, It’s gonna rain per nastro magnetico, del 1965, riverbera gli echi della crisi missilistica cubana trasformando in loop martellante la registrazione di una frase apocalittica pronunciata da un predicatore pentecostale per le strade di San Francisco. In Come out denuncia la violenza gratuita della polizia sugli afroamericani nell’epoca delle battaglie per i diritti civili di Martin Luther King.
Different trains è una meditazione sull’Olocausto di cui avrebbe potuto essere vittima se lui, di famiglia ebraica, fosse nato in Europa. Dallo sbigottimento per l’11 settembre è scaturito WTC 9/11 . Per oltre un mese tante opere di Reich sono state disseminate nel cartellone concertistico dell’Accademia Chigiana di Siena come omaggio di compleanno: ultimi appuntamenti stasera con il Quartetto Prometeo per Different trains , martedì con un grande ensemble jazz-classico diretto da Tonino Battista.
Maestro Reich, pare che “minimalismo” sia un termine bandito dal suo dizionario...
«Per me esiste un’unica parola: musica».
Lei ha cominciato a ridurre all’osso la scrittura musicale mentre l’avanguardia europea guidata da Boulez e Stockhausen concepiva partiture regolate da geometrie rigide. La sua è stata una controffensiva al loro sistema cervellotico?
«Ho composto sempre e soltanto la musica che mi ha allettato, e certo non mi è mai passato per la mente di dar vita a un nuovo movimento artistico. Comunque ammiravo i lavori di Boulez e Stockhausen, ma non ero interessato a scrivere come loro».
Perciò ai suoi esordi da che parte guardava?
«Alla Sagra della primavera , al quinto Concerto brandeburghese di Bach, al jazz di Miles Davis, Charlie Parker, alla batteria di Kenny Clarke. E ancora alla Parigi medievale di Pérotin, al quarto e quinto quartetto di Bartók, al jazz modale di John Coltrane, alla musica vocale di Luciano Berio, a In C di Terry Riley, al gamelan balinese, alle percussioni ghanesi.
Si mescoli tutto questo insieme, ed ecco come sono venute fuori le mie prime opere».
Quanto ha contato l’insegnamento diretto di Berio, al Mills College in California?
«Maestro premuroso e adorabile, la prima volta lo ascoltai dirigere i suoi Circles a New York, verso il 1960. Un giorno a lezione ci fece ascoltare due pezzi elettronici di Stochkausen, gli Studi e Gesang der Jünglinge , dove la voce registrata del ragazzino mi spalancò orizzonti inventivi prima inimmaginabili.
Quell’esperienza mi indirizzò verso uno dei miei tratti distintivi: declinare l’elettronica come musica per nastro magnetico che prenda le mosse dalla registrazione di una voce umana».
Al di là della tecnica, quanto pesa il messaggio politico nei suoi lavori?
»Il solo obbligo etico cui deve rispondere un compositore è scrivere la musica di cui è capace.
Naturalmente, in quanto essere umano, ciò che gli succede attorno non può lasciarlo indifferente. Ma sarà solo la qualità musicale a tenere vive le mie opere quando la memoria degli eventi che li hanno sollecitati sarà affievolita».
Fin da subito il minimalismo è diventato un fenomeno globale che ha influenzato generi, stili, linguaggi diversissimi, dal jazz al pop, dalle colonne sonore alla disco music. In questo panorama sconfinato, quali sono i suoi eredi?
«Per primi indicherei David Lang e Nico Muhly che, influenzati da me, hanno poi imboccate strade molto personali».
L’uno è prediletto da Paolo Sorrentino per le colonne sonore dei suoi film, l’altro è stato collaboratore di Björk e dei Sigur Rós.
«Anche altri — come i giovani Caroline Shaw, Bryce Dessner, Gabriella Smith — stanno facendo musica forte, in cui mi riconosco.
Tutti americani, si badi. Perché, musicalmente parlando, oggi gli Stati Uniti si comportano davvero bene».