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 2021  agosto 02 Lunedì calendario

Biografia di Bernard Arnault

Bernard Arnault, l’uomo più ricco d’Europa (numero due nel mondo, dietro a Jeff Bezos), convoca ogni mese a pranzo i cinque figli all’ultimo piano della sede parigina del suo gruppo, Lvmh, il gigante francese del lusso. Più che mangiare (i sei sono tutti longilinei e di quella magrezza innaturale tipica di certi ricchi) discutono delle nuove boutique da aprire o dei marchi da acquisire e la discussione prende spesso una piega italiana. I cinque rampolli sono Delphine (46 anni) e Antoine (44), figli delle prime nozze, e poi Alexandre (29), Frédéric (26) e Jean (22), frutto del secondo matrimonio, con una pianista canadese (anche Monsieur Arnault è un melomane appassionato). I sei si assomigliano tutti: stessa fronte alta, occhi chiari, modi educati e distaccati, vestiti griffati (ci mancherebbe).Arnault, 72 anni e nessuna voglia di lasciare la plancia di comando, non ha ancora scelto il successore, ma è in questa ristretta cerchia familiare che trova la sua forza. Se si vuole, è un paradosso, perché una buona parte della sua fortuna il miliardario francese la deve alla capacità di inserirsi nelle diatribe familiari vissute dalle aziende di cui si è accaparrato. Di lui Philippe Villin, banchiere che lo conosce da anni, ha detto di recente a Le Monde: «Bernard Arnault non fa altro che lavorare, senza approfittare davvero della vita. Ama la musica ma non va mai a un concerto. Viaggia raramente per piacere. Non sono sicuro che abbia amici. Ma è certo che ha una famiglia, adora i suoi figli e fa tutto per loro».Un altro conoscente, stavolta anonimo, all’Agence France Presse ha confidato: «Ha uno spirito di competizione inverosimile, una notevole intelligenza e anche quella mancanza di empatia, che è tipica di chi negli affari riesce a costruire un grande impero». Nato ricco, ma non ricchissimo, a Roubaix, nel Nord della Francia, figlio di un imprenditore del settore delle costruzioni, secondo Bloomberg possiede oggi un patrimonio di 162 miliardi di dollari. Lvmh ha presentato nei giorni scorsi i dati del primo semestre 2021: il fatturato (28,7 miliardi di euro) è aumentato del 53% su base annua (si dirà: era l’anno del Covid, normale) ma anche dell’11% rispetto ai primi sei mesi del 2019. Come dire che il gruppo ha già digerito la crisi della pandemia.Arnault (che controlla gli abiti di Dior, le borse di Louis Vuitton, i gioielli di Bulgari e dall’inizio dell’anno pure quelli di Tiffany, lo champagne Moet-Chandon e tanti altri marchi) non abbandona mai. Nelle ultime settimane, quando nei giri del business parigino pensavano solo a organizzare la vacanza a Saint-Tropez, Monsieur ha sferrato due colpi a sorpresa. A metà luglio L Catterton, fondo d’investimento legato a Lvmh, ha fagocitato il 60% di Etro, la maison milanese della moda dandy, finora al 100% nelle mani dell’omonima famiglia. Poco prima Lvmh aveva acquisito anche il 60% di Off-White, il marchio di Virgil Abloh, stilista e Dj americano. Negli ultimi mesi il colosso francese del lusso è passato pure dal 3,2% al 10% in Tod’s. Attenzione.Arnault ha capito prima di tutti che in Francia solo con il lusso si poteva creare un gigante mondiale equivalente di Apple o Facebook nell’hi-tech. Ha applicato il suo rigore di ingegnere (è laureato al Polytechnique e ci tiene molto) a quel mondo futile, che è un business incredibile. Ha compreso in anticipo i vantaggi della globalizzazione. E da un certo punto di vista, poco importa se Lvmh ha la tendenza ad assorbire tanti marchi e a egemonizzarli, a soggiogare la creatività ai gusti degli asiatici. Fa soldi. Punto e basta.L’uomo talvolta è criticato in Francia. Ma alla fine non fa altro che utilizzare le spietate leggi del business. Sono emerse operazioni nei paradisi fiscali, ma non è mai andato sotto inchiesta: semplicemente fa dell’«ottimizzazione fiscale» e le regole attuali glielo permettono. Iniziò la sua fortuna nel 1984 acquisendo Boussac, un gruppo tessile in crisi della Francia del Nord, per una cifra irrisoria e incassando l’equivalente di 114 milioni di euro di sovvenzioni pubbliche. Promise di svilupparlo e di mantenere i posti di lavoro. Ma poi lo smantellò, conservando solo la controllata Dior, intorno alla quale ha dato vita al suo impero del lusso. Alla fine degli anni Ottanta entrò in Lvmh, nato dalla fusione di Louis Vuitton e di Moet-Hennessy. Approfittando della rivalità fra le due famiglie e giocando su false alleanze, ne prese il controllo. In seguito tentò lo stesso giochino con la famiglia Hermès, ma non ha funzionato. Lui ci prova. Scaltro? Forse, ma soprattutto fa i propri interessi in un mondo capitalistico: senza ritegno o stati d’animo. Non ha nessun problema neppure a utilizzare, se necessario, il potere politico. Nella battaglia per accaparrarsi Tiffany, in pieno Covid, l’intervento del ministro degli Esteri francese Yves Le Drian gli ha permesso di assicurarsi un notevole sconto nel prezzo pagato per il gruppo americano. Da quando fu chiaro che avrebbe vinto alle presidenziali, nel 2017, Arnault si era accodato a Emmanuel Macron e se ne è servito. Niente di più.