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 2021  agosto 01 Domenica calendario

Che fine ha fatto Jocelyn

Un pomeriggio d’estate nel suo appartamento a Montecarlo. Jocelyn risponde al telefono e la moglie, Alessandra Chianese, giornalista e scrittrice, non è mai troppo lontana (sono insieme da tre anni, ma la prima volta la incrociò ragazzina nel pubblico del mitico «Discoring», nel 1981, quando lui portò la discoteca sul piccolo schermo). Danno chiaramente l’impressione di divertirsi. «La nostra vita è fatta di battute e di risate», ammette Jocelyn, che a 75 anni ha ancora tanta voglia di fare.
Sì, i due stanno «tramando» varie cose. Lui aveva messo giù una storia per la tv, una signora sulla cinquantina che racconta la sua vita. Si svolge in uno studio televisivo. «Alessandra ci sta mettendo le mani per farne un romanzo, perché lei scrive in italiano e io in cispadano…». Poi, assieme stanno curando a distanza la regia di uno spettacolo teatrale, che debutterà a Roma in autunno, basato su un testo di Angelo Longoni, «Xanax», rivisto ai tempi del Covid. E stanno finalizzando il progetto di una serie di documentari «sull’integrazione delle persone come me, che sono nate in un Paese e sono cresciute in un altro. E sono state accolte a braccia aperte in un altro ancora».
Sì, perché Jocelyn è nato a Tunisi, «in una famiglia modesta, ma dignitosa. Si rideva sempre: le più grandi catastrofi le abbiamo attraversate con il sorriso e con il coraggio dei miei genitori». Il padre, ebreo e comunista, durante la Seconda guerra mondiale, quando i fascisti italiani occuparono la Tunisia, «si nascose per un anno con mio zio, che era un ebreo italiano, nell’intercapedine tra i due piani di una casa. Ouira, un loro amico musulmano, una persona dolcissima, portava di nascosto da mangiare». Quando Jocelyn aveva undici anni, emigrarono in Francia, alla ricerca di una vita migliore. «Papà era scultore, ma per farci vivere faceva il marmista. Mamma in Tunisia era farmacista, ma a Parigi ha fatto la donna di servizio». Non fu facile, «ho sofferto dell’antisemitismo. Qui sulla mano ho ancora una cicatrice, una coltellata diretta alla pancia e che sono riuscito a schivare. Era un pomeriggio, al cinema». Jocelyn voleva tornare a casa, a Tunisi. Ma il papà gli diceva: «Ora la nostra casa è qui. E noi siamo ospiti, non dobbiamo farci notare, ma passare tra il manifesto e il muro».
Jocelyn Hattab (il suo cognome) ha studiato al Conservatoire national supérieur d’art dramatique a Parigi regia e produzione «perché io nasco come tecnico». Così si ritrovò a Monaco negli anni Settanta, dove gli proposero di creare Telemontecarlo in italiano. Programmava un film al giorno. Ma poi iniziò a passare musica. E con due telecamere improvvisate imbastì un programma, «Un peu d’amour, d’amitié et beaucoup de musique». Agli inizi manco parlava italiano, ma Sophie Cauvigny, allora sua moglie, sì e traduceva in diretta. Divertenti, naturali, crearono qualcosa di sperimentale e i cantanti dell’epoca facevano a gara per parteciparvi. «Un giorno venne Umberto Tozzi a presentare in anteprima «Ti amo» - ricorda Jocelyn -. Io l’ascoltai e mi dissi: questo diventerà un successo planetario. Lo misi quattro volte durante la stessa puntata».
Dopo Jocelyn passò alla Rai e la storia è nota, una serie lunghissima di format da lui ideati e di successi. In «Caccia al tesoro» (1983-84) se ne andava in tutto il mondo, seguendo le indicazioni dei concorrenti. Pure attaccato con una sola mano a un elicottero in volo… «Per più di un mese mi allenai con Nico, un ex trapezista di Liana Orfei. Mi faceva fare esercizi da paura. E fabbricò la «cravatta», con una cintura di sicurezza, che mi permetteva di attaccarmi all’elicottero». Di tutti quegli anni di lavoro restano vari amici, proprio come Tozzi, oggi vicino di casa a Montecarlo. «Gli altri siamo noi» è la colonna sonora prevista per i documentari di Jocelyn e Alessandra. «Le parole della canzone – dice lui – dicono tutto il senso di quello che vogliamo raccontare».