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 2021  agosto 01 Domenica calendario

Sgarbi: «Il matrimonio è la vera dannazione»

Iniziamo dalla malattia, il cancro. Ci sta ancora combattendo, eppure ha ripreso la sua vita vorticosa, affollata di appuntamenti e di viaggi da un capo all’altro dell’Italia per presentazioni di libri, conferenze. «Mi sento coraggioso perché non temo la morte. Anche se la mia vita è una fuga continua per sfuggirla».
Definirla irrequieto è un eufemismo?
«La quantità di cose che faccio sono forme di irrequietezza. Ripeto: per non fermarmi a pensare».
Il lockdown deve essere stato un inferno.
«Dal febbraio dell’anno scorso a oggi non ho fatto più niente. E in questa singolare sventura collettiva ho avuto anche il cancro, che fortunatamente non mi è capitato in un tempo vivo, ma in un tempo morto».
E nel mentre si è però ribellato alle regole imposte dal governo per fermare il Covid.
«Sì, ma senza negare l’epidemia, solo denunciando le ridicolaggini come la mascherina in auto, multare le bici... Da sindaco di Sutri ho fatto delle direttive di buon senso, ma che sono state smentite dalla prefettura. Sono vaccinato, non posso quindi essere No-Vax, ma sono per il "ognuno faccia come gli pare"».
E in una di queste sue manifestazioni di ribellione ha scoperto di essere malato, giusto?
«Sono andato a sciare il 26 dicembre 2020, scegliendo il fondo che era parzialmente consentito. Ho avuto molto male alle caviglie e così dalle analisi mi hanno scoperto il cancro. Ne ho parlato, anche se io ho sempre creduto nella riservatezza rispetto alle malattie, proprio per far capire che non esiste solo il Covid perché il cancro sembrava di serie B ».
Parliamo di donne. Dal 1998 è legato a Sabrina Colle...
«Con lei ho condiviso quei mesi insopportabili».
Un rapporto lungo in cui lei però si concede parecchie distrazioni.
«È la mia compagna, è un dato di fatto. Ci siamo conosciuti nel 1996, poi dopo 3 anni lei non ha più voluto fare sesso e io ne ho preso atto. Questo mi ha consentito di fare come volevo. Il mio corpo era libero, una grazia del cielo».
Lei non è gelosa?
«È tollerante, aperta. Donna di sofisticata eleganza e mi guarda con compatimento per quelle che considera inutili conquiste».
Tutta questa apertura e poi lei è contrario alle unioni civili tra persone dello stesso sesso?
«Io sono un oppositore estremo delle unioni civili perché sono contrario al matrimonio in assoluto, che considero una dannazione. Esiste il sesso senza amore e anche l’amore senza sesso. Esistono gli individui, non la coppia. La mia attività sessuale è modellata su quella omosessuale, rapina, usa e getta. Prendi e scappa. In un cinema, in un bar…».
Non mi sembra una descrizione politicamente corretta...
«È un dato di fatto, anche se ovviamente una generalizzazione. Basta ricordare Pasolini».
E in questa turbinosa attività rapinosa sono nati 3 figli.
«Se una donna rimane incinta, le dico "fai il figlio". Ho dei valori».
Che tipo di padre è ?
«Tutti e 3 hanno rapporti straordinari con me senza che ci sia stato bisogno di educarli e di viverli quotidianamente. Carlo, 32 anni, ha la vocazione a fare il marinaio riservista, ma lavora per Intesa San Paolo a Bruxelles. Mi chiama genitore, non papà. Quando morì la madre, non volle venire a Roma a vivere con me. L’ho rivisto da adulto e abbiamo rapporti cordiali. Evelina credo abbia 20 anni, è furbissima, ha il carattere come il mio, ribelle, sfrontata. Andrà a fare il Grande Fratello. Alma ha 20 anni, vive con la madre albanese, ha un anima delicata e gentile».
Famiglia allargatissima a differenza della sua famiglia di origine, che è sempre stata unita.
«Carmelo Bene ha scritto che la sua avversione per l’idea di famiglia aveva un’unica eccezione, la famiglia Sgarbi: "Sono un po’ tutti pazzi, vivaddio, ma è un nucleo (quel che conta) di persone, dico persone, che vincolate da reciprocità affettività, vivono una rarissima autonomia individuale...". Io sono figlio, prima che padre. I miei genitori, uno classe 1921 e l’altro 1926, si sono sposati perché la struttura sociale si basava sul matrimonio come sacramento. Non avevano nemmeno il sospetto di potersi separare».
Siete rimasti lei e sua sorella Elisabetta, potentissima editrice.
«Lei è cresciuta con le mie angherie. La portavo al cimitero per farle sentire i fantasmi. Con il tempo ha seguito le indicazioni familiari laureandosi in Farmacia, poi si è resa conto che quel tipo di vita è simile all’ergastolo, faticosissima come tra l’altro avevamo capito osservando la vita di nostro padre, che non aveva pace nemmeno di notte. E poi è entrata nel mondo editoriale e, passo dopo passo, è arrivata dove è. Lei mi dà consigli di vita e io contraccambio con consigli editoriali per quanto riguarda le scelte sull’arte».
Sembrerebbero le donne i punti fermi della sua vita. Eppure prima, quando mi ha mandato il contatto della sua assistente, ho visto che l’ha catalogata come "Vittoriano Bella ragazza, Benevento".
«Da vecchio maschilista!».
Sua madre?
«Era molto severa e mi mise in collegio. La sua intelligenza si manifestava nella velocità. È stata una grande collaboratrice. Elisabetta va ogni domenica al cimitero e le legge i miei articoli. Non la amavo in quanto madre, ma in quanto donna intelligente. Quando ha iniziato a perdere colpi l’ho chiamata di meno, frequentata di meno».
Senso di colpa per questo?
«No. Anche perché avevo reso i miei genitori spregiudicati e rock. So che mi capiva. Mia madre era una mia coetanea e questo le ha dato una grande ragione di vita».
Come è stato in collegio?
«Collegio salesiano Manfredini. Due anni di galera. Ogni mercoledì si usciva in passeggiata e io andavo in libreria e compravo libri di Svevo, Montale, D’Annunzio. Una volta venni punito perché il prete trovò una edizione di Senilità che aveva un segnalibro a pagina 30. E allora chiamarono i miei perché il libro era proibito. Mi diceva "Non devi leggere questi libracci". Un clima di terrorismo. Bullismo no. Una serpeggiante omosessualità che non mi ha toccato. Alcuni ragazzotti erano vittime dei preti, li accarezzavano, ma senza alcuna violenza. Vecchi preti desiderosi di affetto. Quando sono arrivato nel ’68 al liceo classico a Ferrara, non riuscivo a capire la contestazione perché rispetto al collegio eravamo liberi».
Lei predica la libertà in amore, ma è mai stato geloso?
«Sì, alcune volte. Nel 1975 per Carmela Vinci, figlia del sindaco di Merano, sposata con un giornalista del Manifesto. Ero folle di gelosia per il marito, anche quando si lasciarono ma continuavano a convivere. Nel 1982 per una signora romana dell’alta società (Parioli), ma non posso dire il nome. Il marito mi ha sparato dopo avermi intravisto in casa e fortunatamente non mi ha beccato».
Parliamo dell’ira. La sue risse televisive sono proverbiali. Ma ci fa o ci è?
«Iniziai nel 1989 da Costanzo per vincere il banco. In tempi più recenti le mie incazzature sono per lesa maestà, vorrei parlare senza essere interrotto. Mi viene spontaneo quando non vengo ascoltato come vorrei, con reverenza».
Reverenza, addirittura?
«Ho un atteggiamento cardinalizio».
Non ho mai sentito un cardinale urlare "capra, capra, capra"».
«Adesso le racconto come è nata questo "non insulto". L’essere andato al governo come sottosegretario provocò una reazione da parte di Giulietti, che fece un’interpellanza parlamentare contro le mie ospitate da Paolo Limiti alla Rai. Da quel momento hanno iniziato a dire che qualsiasi cosa facessi in Rai non potevo essere pagato dalla Rai. Poi una volta che venni invitato, decisi di andare alla trasmissione di Chiambretti, era il 2003, e di stare zitto tutto il tempo. Aldo Busi inizia a parlare dei suoi meriti paragonandosi a me, che sarei stato secondo lui un figlio di papà. E allora invece di parlare gli dico "capra" 13 volte. E questo mi ha liberato da molte querele. Perché se dico stronzo mi querelano, se dico capra no».
Quante querele ha avuto?
«670 da quando ho iniziato la televisione, 5 solo da Di Pietro, a cui ho dovuto dare 300 mila euro. Adesso però siamo diventati amici. Ho fatto i conti e, tra risarcimenti e avvocati, ho speso due milioni e mezzo di euro».
Mi sta dicendo che è diventato povero?
«No. Perché ho guadagnato molto con la televisione. Per la trasmissione "Weekend con Raffaella", nel 1990, mi diedero 500 milioni».
E non litigava con la Carrà?
«Raffaella era contenta del mio linguaggio rivoluzionario accanto al suo, che era invece armonioso. Gliene facevo di tutti i colori. Venni sospeso perché dissi che il Papa era un terrorista».
Il peggior nemico?
«Cambiano di volta in volta. Una volta era D’Agostino, ma al venticinquennale della nostra lite, cinque anni fa, siamo diventati amici».
La famosa lite in cui lei durante la trasmissione "L’Istruttoria" lanciò a Dago una bottiglietta d’acqua e lui la schiaffeggiò.
«Mi infuriai quando attaccò Cossiga, che mi stava difendendo dopo la mia sospensione in Rai per quella frase sul Papa. Ma era per difendere Cossiga, non me stesso. Il presidente è stato l’unico riferimento politico che ho avuto. Era uno Sgarbi al Quirinale. Amava Sabrina e la chiamava la martire».
Migliore amico?
«È una categoria che nasce da passioni comuni. In questo momento vado a caccia di quadri con Tommaso Ferusa. Ma Filippo Martinez, regista televisivo, 10 anni con me a Mediaset, è quello a me più affine».
La politica: parlamentare, sindaco, adesso Roma, dove corre nel centrodestra con Michetti...
«Il mio modello culturale era Croce e ho sempre pensato che l’attività di studioso dovesse convivere con quella di politico».
Da sindaco di Sutri lei ha fatto intestare una via ad Almirante, e una a Julius Evola. Farà lo stesso a Roma se vincesse la coalizione di centro destra con cui è candidato?
«A Sutri c’era il solito problema della paura di Almirante, ho voluto dimostrare che l’identità di un uomo non può essere esaurita in una appartenenza politica. Julius Evola poi, dopo il ’20, è stato un grandissimo pittore e ho voluto fare un gioco dadaista facendo vedere le sue diverse facce».
Come definirebbe la sua vita?
«Una vita che ha una proiezione verso il futuro e il presente ma anche, forte, verso il passato».