La Stampa, 1 agosto 2021
La Groenlandia si scioglie sempre più in fretta
Quando Erik il Rosso «scoprì» la Groenlandia nel 986, nel pieno del periodo caldo medievale, non sapeva che il nome con cui battezzò l’isola più grande del mondo sarebbe stato un - infausto - presagio. Nome omen, Grønland, Terra verde. Un paradosso per i moderni che, figli della piccola era glaciale, in quell’ammasso di ghiaccio che ricopre l’83% del suo territorio, di verde ne hanno sempre visto poco. Almeno fino a oggi.
La vasta calotta glaciale della Groenlandia si sta sciogliendo a una velocità mai vista prima. Per la precisione, mai vista da 12.000 anni. Questa settimana in un solo giorno la quantità di ghiaccio sciolto dal calore è stata abbastanza da ricoprire - calcola il Polar Portal - l’intera Florida con 5 centimetri d’acqua.
Martedì 27 luglio abbiamo perso 8,5 miliardi di tonnellate di ghiaccio, due giorni dopo, giovedì 29, altri 8,4 miliardi di tonnellate. La temperatura record registrata è stata di 19,8 °C .
Tutto questo ghiaccio che si scioglie in Groenlandia diventa acqua che si riversa negli oceani, che si «diluiscono» (l’acqua di disgelo è acqua dolce e diluisce il contenuto di sale dell’oceano), e provoca un ulteriore innalzamento dei mari. Una reazione a catena innescata dai cambiamenti climatici prodotti dall’uomo.
Oltre a devastare interi ecosistemi, il rischio che migliaia di città e zone costiere finiranno prima o poi per «affogare» non è più un’ipotesi fantascientifica. Il ghiaccio della terra di Erik il Rosso dovrebbe interessare tutti, dai super-inquinatori del pianeta alle popolazioni che vivono vicino al mare. Ma solo in prima battuta, perché - come noto - gli effetti sul breve e medio termine avranno un impatto globale. E basta scorrere i numeri per comprendere il volume del possibile disastro: oltre un miliardo di persone vive a meno di 10 metri al di sopra delle attuali linee di alta marea, di questi 250 milioni vivono al di sotto di un metro sul livello del mare. Se, per assurdo - ma non troppo - l’intera calotta glaciale della Groenlandia si sciogliesse, il livello del mare aumenterebbe di sei metri. E le rassicurazioni degli scienziati non sono affatto rassicuranti: l’obiettivo sarebbe almeno di ritardare l’ineluttabile e dare il tempo a 600 milioni di persone che vivono vicino alle coste di spostarsi.
Il fenomeno che da almeno un ventennio spaventa gli scienziati ha infatti una variabile di rischio in più: la velocità. Il ghiaccio non solo si scioglie, ma lo fa più rapidamente. La stagione di scioglimento della Groenlandia di solito dura da giugno ad agosto. I dati del governo danese mostrano che l’isola ha perso più di 100 miliardi di tonnellate di ghiaccio dall’inizio di giugno di quest’anno e, mentre il volume dello scioglimento è inferiore a quello del 2019 (quando andarono perse 11 miliardi di tonnellate di ghiaccio in un solo giorno), l’area colpita nel 2021 è molto più estesa. E naturalmente il problema non riguarda solo l’isola degli Inuit e di Erik il Rosso: la crisi climatica sta riscaldando tutto l’Artico a una velocità doppia rispetto alle latitudini più basse e lo scioglimento della calotta glaciale è il principale fattore a contribuire all’innalzamento del livello del mare, che mette in pericolo le coste di tutto il mondo. Mentre il mondo si riscalda, il ghiaccio immagazzinato ai poli e nei ghiacciai si scioglie e il livello del mare si alza. Il tasso di crescita è accelerato negli ultimi decenni ed è ora stimato in 3-4 mm all’anno e la calotta glaciale si è ridotta di 532 miliardi di tonnellate in un anno. Per capire l’entità del danno basti pensare che i ghiacciai disciolti nell’Oceano avrebbero riempito sette piscine olimpioniche al secondo.
Nonostante il suo rapido scioglimento, la calotta della Groenlandia non è necessariamente destinata a sciogliersi del tutto. In primo luogo, quando i ghiacciai si ritirano perdono il contatto con le acque oceaniche più calde e quindi si sciolgono di meno, poi, dicono gli scienziati, se riduciamo le emissioni di CO2, ridurremo il riscaldamento globale, e quindi anche quello dell’Artico. Ma, per l’appunto, una sfilza di «se» stanno di fronte a quello che pare sempre di più un fenomeno irreversibile.