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 2021  agosto 01 Domenica calendario

Serena Rossi si racconta

Serena Rossi, la madrina di Venezia 78, è a Trino Vercellese, è sul set di una serie Rai ( La sposa, su una moglie per procura negli anni 60): «Abbiamo girato tutta la notte».
Tra un mese sarà sul palco a inaugurare la Mostra.
«Più si avvicina, più realizzo, più mi emoziono. Una domenica mattina di aprile, cancellavo le mail, ho letto l’oggetto: "Barbera Venezia 2021", e dentro: " Serena avrei una proposta: vorrebbe essere la Madrina?" Quasi cado dal letto».
Perché lei ?
«So che c’era una shortlist, Alberto mi ha detto che non riuscivano a prendere una decisione di gruppo, così il sabato ha deciso lui, ero la persona con il temperamento e il sorriso giusto in questo anno di rinascita, malgrado le difficoltà».
Sta scrivendo il discorso?
«Ho iniziato a buttarlo giù con la mia squadra al femminile. So di avere un ruolo istituzionale, ma voglio metterci le mie emozioni, quel che sono io. Sarà un discorso caldo».
Si fermerà tutto il periodo?
«Sì, non farò tutti i tappeti rossi, ma farò una scorpacciata di film: tutti gli italiani — c’è molta Napoli — da Sorrentino a Martone e poi Andò, i Mainetti, i D’Innocenzo, il film su Diana Spencer, i film di Ridley Scott e Pedro Almodóvar. E i musical, da One Night in Soho al doc su Ezio Bosso».
Che ricordi ha alla Mostra?
«Il più forte è con Ammore e malavita.
Un sogno, per tanti motivi: mentre giravamo aspettavo mio figlio Diego e alla presentazione era con me, lo allattavo ancora. La troupe è arrivata da tutta Italia, abbiamo invaso il tappeto rosso con la musica neomelodica a palla. Sono tornata l’anno scorso con Lasciami andare, girato a Venezia con l’acqua alta tra mille difficoltà, e l’atmosfera al Lido era completamente diversa: quel silenzio era un colpo al cuore. Ma è stato importante esserci».
Il suo rapporto con il cinema?
«La mia è stata un’educazione musicale in una famiglia cresciuta tra le note. Mio nonno materno scriveva canzoni napoletane, ha conosciuto mia nonna a un concorso musicale, hanno cresciuto così otto figli. Mia mamma è stata una delle prime disc jockey delle radio libere napoletane anni 70, uno zio diplomato in chitarra, l’altro cantante, mia zia fa teatro musicale. Questo è stato il pane, per me. Mai avrei pensato di recitare. È arrivata la tv con un film da protagonista a 16 anni, Rosafuria di Gianfranco Albano. La sera prima del ciak ho detto ai miei "non vado, non mi posso inventare dalla mattina alla sera", e loro "ma se il regista con i capelli bianchi ha visto qualcosa in te, provaci". La mattina mio papà mi porta in motorino tre ore prima della convocazione, per studiare il set. Al primo ciak mi vede incinta col pancione e gli prende un colpo.
Albano gli dice: "Serena farà l’attrice"».
I film da spettatrice?
«Da bimba tutti i cartoni Disney, da adolescente ho visto Titanic sette volte, innamorata di DiCaprio. Al cinema mi sono poi trovata dentro, ho provato a riempire i vuoti, a 27 anni mi sono iscritta al Dams per un anno. La mia scuola è stata il set, i miei maestri registi e colleghi».
Un momento difficile?
«Il cinema non arrivava mai. C’era una certa diffidenza, allora, verso chi veniva dalla tv. Sono andata in crisi: immaginavo le attrici di cinema diverse da me, che sono troppo espansiva. Pensavo: «Dovrei essere più tormentata e introversa, una di quelle attrici che nelle interviste parlano poco". Poi ho capito che non mi potevo snaturare. Per fortuna ho incontrato due spiriti liberi come i Manetti Bros, al provino di Song ‘e Napule e mi hanno detto subito "per noi sei tu". Ma è stata lunga».
Un ricordo spiacevole?
«In certe situazioni mi sono sentita discriminata, outsider. Non faccio la vittima, per carità. Ma non scordo chi a un provino mi disse "ecco com’è riuscita a trasformare in una cosa televisiva anche un testo così"».
Oggi si sente realizzata?
«Posso ancora dimostare tanto».
Progetti?
«La seconda stagione di Mina Settembre, i risultati ci hanno ripagato del difficile anno di riprese.
Stavolta non mi trasferisco a Napoli, faccio la pendolare da Roma perché Diego vuole restare nella sua scuola.
Poi girerò una commedia surreale per il cinema».
A dicembre uscirà "Diabolik".
«Finalmente! Un film così spettacolare meritava il grandissimo schermo. I Manetti mi hanno chiamato: "Ti vogliamo, ma non sarai Eva Kant". Mi hanno dato un bel personaggio dagli occhi viola, che esiste nei primi numeri Diabolik. Non è stata facile, ambientazione indefinita, dialoghi da fumetto».
L’iniziativa benefica della "spesa sospesa" procede?
«Mai avrei immaginato un tale successo, i camion che portano il cibo alle persone in tutta Italia, ne ho un modellino sul comodino. Poi lavoro al progetto Car-t, una terapia per curare i bambini con cellule tumorali avanzate. Ho registrato una favola per raccontare il loro percorso ospedaliero, il linfocita trasformato in supereroe. I genitori non possono stare con loro, la mia voce sarà una compagnia. È bello quando il tuo lavoro ti rende possibile fare davvero qualcosa per gli altri».