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 2021  agosto 01 Domenica calendario

Per Draghi l’immigrazione è il tallone d’Achille

A quasi sei mesi dalla nascita, il governo Draghi è riuscito ad accelerare il programma di vaccinazione e ad avviare il piano di ricostruzione, d’intesa con Bruxelles, varando anche riforme importanti come su Semplificazione e Giustizia.
Per non parlare della ritrovata credibilità internazionale con partner europei ed alleati atlantici. Ma lo stesso governo ha anche un vistoso tallone d’Achille: l’immigrazione.
Il motivo è triplice: su questo tema le differenze fra i partner della coalizione sono vistose e l’Ue esita a varare politiche di reale sostegno ai Paesi più esposti ai flussi mentre in Nordafrica la simultaneità delle crisi in Tunisia e Libia paventa il rischio di un’estensione delle aree prive di sufficienti controlli di sicurezza locali, ad evidente vantaggio dei trafficanti di esseri umani attraverso il Mediterraneo.
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segue dalla prima pagina E poiché è difficile prevedere un avvicinamento di posizioni sui migranti fra Lega, Pd e M5S, così come appare proibitivo immaginare rivoluzionarie aperture da parte dell’Ue in ragione delle non troppo lontane scadenze politiche elettorali a Berlino e Parigi, l’unica strada per scongiurare un massiccio arrivo di profughi durante il periodo agosto-ottobre — quando il mare è più calmo e la navigazione diventa più facile — sembra essere un impegno strategico per stabilizzare il Nordafrica inquieto perché al centro di un aperto scontro interno all’Islam sunnita. Tale scontro si svolge in Tunisia e Libia con modalità simili se non convergenti.
In Tunisia il presidente Kais Saied ha allontanato il premier Hichem Mechichi facendo uso delle forze armate che hanno imposto il coprifuoco e appaiono determinate ad emarginare il partito islamico Ennahda, espressione dei Fratelli musulmani, il tutto con l’aperto sostegno di Egitto ed Emirati Arabi Uniti a fronte delle vibranti proteste di Turchia e Qatar. Perché ci sono proprio questi Paesi al cuore del duello inter-sunnita: Il Cairo ed Abu Dhabi accusano i Fratelli Musulmani di voler "rovesciare e abbattere tutti gli Stati arabi" mentre Ankara e Doha li difendono come la più pura espressione "dell’Islam politico". La sfida in corso in Tunisia è dunque solo il tassello di uno scontro strategico più vasto per la guida dell’Islam sunnita che contrappone la Turchia di Recep Tayyip Erdogan — leader del proprio fronte — all’Arabia Saudita dell’anziano re Salman, che egiziani ed emiratini sostengono.
Tale confronto si ripete, con una dinamica assai simile, in Libia, dove Ankara e Doha appoggiano con armamenti e finanze le milizie di Tripoli mentre Il Cairo e Abu Dhabi — assieme a Riad — fanno altrettanto con quelle della Cirenaica, dove fra l’altro operano i reparti dei mercenari russi della Brigata Wagner. Ovvero, se oggi la costa lunga quasi 1800 km da Tunisi a Bengasi offre più possibilità di operare ai trafficanti di uomini è perché si tratta di un’area resa instabile da uno scontro duro fra potenze sunnite rivali.
A ben vedere l’unica opzione che l’Italia — e anche l’Ue — ha per scongiurare il peggio è rafforzare le deboli e precarie strutture degli Stati-nazione in Tunisia e Libia. Nel primo caso significa dialogare con il presidente Saied per aiutarlo a scongiurare l’implosione definitiva del Paese mentre nel secondo l’opzione sul tavolo è contribuire a far svolgere entro fine dicembre le previste elezioni politiche — parlamentari e presidenziali — come auspicato da Nazioni Unite, Conferenza Ue di Berlino, summit Nato e amministrazione Biden. Ma anche qui può rivelarsi una strada minata perché sul terreno, in Tripolitania e Cirenaica, ci sono rispettivamente reparti militari turchi e russi che vedono nel voto politico un evidente pericolo perché chiunque sarà legittimato a guidare la Libia potrebbe chiedergli di allontanarsi senza troppi indugi.
Per il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in arrivo a Tripoli all’inizio della settimana, si annuncia dunque una visita assai delicata perché gli strumenti che l’Italia ha in tale cornice per tutelare i propri interessi nazionali — ovvero bloccare o almeno regolare gli arrivi di migranti — sono assai esigui. Senza contare che sulle unità della Guardia Costiera libica vi sono oramai da molti mesi ufficiali turchi, divenuti di fatto i vigili urbani del traffico dei migranti nel bel mezzo del Mediterraneo centrale.
Solo tenendo presente la frantumazione geopolitica del Nordafrica si arriva dunque a comprendere quanto l’immigrazione è un terreno dove la risposta italiana può nascere andando ben oltre le polemiche ideologiche di parte fra i partiti politici sugli arrivi dei migranti, definendo una dimensione mediterranea della sicurezza nazionale da condividere poi con Ue e Nato. Poiché non è possibile stabilizzare il Nordafrica in presenza di Stati falliti o destinati a fallire, il governo Draghi ha anzitutto bisogno di una strategia di sicurezza per difendere i nostri interessi — a cominciare dall’immigrazione — in un Mediterraneo conteso.