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 2021  agosto 01 Domenica calendario

Montepaschi, storia di sprechi

Aveva alcuni difetti l’innovativa legge del 1990, detta legge Amato, che avviò la privatizzazione delle banche pubbliche. Del principale scontiamo ancora le conseguenze: il Monte dei Paschi, che appunto era di proprietà statale, quarto istituto di credito italiano per raccolta, fu in pratica regalato agli enti locali senesi.L’hanno gestita malissimo, fino a perderne il controllo sei anni fa. Avevano voluto giocare ai grandi banchieri, acquistando nel 2007 a crisi finanziaria iniziata (in gran Bretagna c’era già la corsa agli sportelli della Northern Rock, cosa mai vista da decenni in Occidente) la Banca Antonveneta di Padova a un prezzo che la Borsa giudicò subito troppo alto.La banca più antica del mondo già faticava e forse l’azzardo aveva lo scopo di diventare troppo grande per non essere soccorsa. Ne uscì così malconcia che negli anni successivi a rimetterla in piedi non sono bastati un congruo aiuto dello Stato e gli sforzi di manager capaci. Ora per evitare di chiuderla occorrerà fare un bel regalo alla banca più grande che la soccorre.Negli anni ’80 le banche di Stato erano un’indecenza. I partiti di governo se ne spartivano le nomine fino all’ultima provincia (se tu mi dai un posto a Jesi io te ne do uno a Cuneo). La legge Amato imitò quanto si faceva nell’Europa dell’Est dopo il crollo dei regimi comunisti. Ovvero: vorremmo dei capitalisti, dove li troviamo? Agli industriali le banche non si possono dare, c’è conflitto di interessi. Agli stranieri, non sia mai. Allora diamole a quelli che già ci comandano, sperando che si comportino come capitalisti.Si crearono le Fondazioni proprietarie delle banche. In alcuni casi la legge Amato ha funzionato, conducendo ad aziende più grandi e più efficienti. In altri ha messo un potere spropositato in mano a clientele locali, ex politici ed affaristi, che talvolta si affidavano a manager pasticcioni. Ne sono nati svariati dissesti, a Genova, a Ferrara e altrove.A Siena la combinazione era esplosiva: una banca grande, con ambizioni oltrefrontiera, e gli interessi locali di una città piccola, per giunta governata sempre dalla stessa parte politica, la sinistra. Fin dai primi anni Duemila, i manager più avvertiti del Monte suggerirono che, nelle nuove condizioni di concorrenza più aspra, non si poteva restare così come si era.La Fondazione Mps (16 membri, 8 nominati dal Comune, 5 dalla Provincia, 1 dalla regione Toscana, 1 dall’Università di Siena, 1 dall’Arcidiocesi senese) ad aggregazioni disse sempre di no, per non diluire il proprio potere. Disse sì invece ad espansioni, come la Banca del Salento nel 1999, pagata cara e con il sospetto di un favore a Massimo D’Alema, allora presidente del consiglio.Dal 2003 in poi, no a Sanpaolo Imi (la scelta forse più sensata), no a Capitalia, no ad Abn-Amro, no al Santander. Nel 2006 era cosa quasi fatta con la spagnola Bbva: la Fondazione sarebbe divenuta azionista di maggioranza relativa, al 12%, di una delle maggiori banche europee, trentacinquesima nel mondo. Dei veri capitalisti avrebbero detto di sì; gli enti locali senesi dissero di no.Strada facendo, si erano anche trattati male i risparmiatori, proponendogli prodotti finanziari dubbi come «4 You» e «My Way» originati dalla Banca del Salento: trovate che fanno pensare a una disperata ricerca di soldi da parte di chi ne perde prestando agli amici degli amici. Una sentenza di tribunale obbligò al rimborso.Quando Ignazio Visco diventò governatore della Banca d’Italia, nel novembre 2011, di fronte alle perdite che stavano emergendo, pesantissime, sollecitò una svolta. Fu un completo ricambio al vertice, con Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. I necessari aumenti di capitale, fra 2014 e 2015, azzerarono le azioni e il potere della Fondazione.I due manager venuti da fuori sfoltirono i dipendenti e ridussero gli sportelli, ostacolati da pesanti scioperi. Ottennero anche un processo per falso in bilancio, per il quale sono stati condannati a 6 anni in primo grado. «Senza noi due la banca non ci sarebbe più» dichiarò Profumo nell’intervista per l’e-book che questo giornale ha dedicato al Mps («Avevamo una banca» a cura di Gianluca Paolucci e Giuseppe Bottero, 2015).Può darsi che quel processo sia una vendetta per piedi pestati a Siena; può darsi che compilare il bilancio in quel modo fosse una scelta estrema pur di andare avanti. Purtroppo il risanamento, anche dopo, con il Tesoro proprietario, non è andato a buon fine. In Italia tutti sostengono che chiudere una banca fa troppi danni, specie se si gloria di essere nata nel 1472. Ma toglierla alle clientele senesi, almeno