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 2021  luglio 31 Sabato calendario

I ricordi di Scalfari

Lamiaadolescenza cominciòcheavevo quindici anni a Sanremo: ripenso aquell’etàdellavita mentre sfoglio il Meridiano che raccoglie i miei libri. Prima classe di liceo.La"banda”,comesubitolabattezzammo, si formò il primo trimestre di scuola.Da allora simantenne compattacon qualchenuovaentrata negli anni successivi e nessuna uscita. Eravamo una dozzina. Quasi tuttisanremesi.UnpaiodiTorino,io l’unico del Sud e infatti – prima che la banda si formasse e io entrassi a farne parte – venivo chiamato “Napoli”.
Lenostregiornateeranoscandite daicompitichefacevamonelpomeriggio, dal passeggio su e giù per il Corso. In classe eravamo una trentina. Le ragazze erano poche, facevano mondo a parte. Alcuni di noi erano più versatili nelle scienze, uno in particolare era bravissimo in matematica e trigonometria. Ilseno, il coseno, cose delle quali ricordo a stento i nomi ma assolutamente nulla del loro astruso significato. Alla nostra banda piacevano la poesia, la storia, la filosofia. La fisica teorica, cheinquel periodoerauno degli argomenti delle nostre serate. E poi i miti,glideieillorosignificato.
Parlavamo anche di ragazze che come noi passeggiavano per il corso, tra piazza Colombo e l’imbocco di viale Imperatrice. Mi piacevano. Ognuno aveva scelto la propria. La scelta, però, era del tutto platonica. Nessuno di noi conosceva ancora la donna. Le prime esperienze vennero l’anno dopo, passarono attraverso il noviziato dell’epoca che si faceva albordello.Noviziatochefuall’inizio disastro, ma ci tolse almeno un po’ della timidezza. L’anno dopo infatti, con le ragazze del Corso, passammo dagli sguardi all’approccio diretto. Qualche volta le portammo alcinemad’estate,oppurecisivedeva inspiaggiaaprenderedopocena ilgelato.
Italo Calvino fu il mio compagno di banco in seconda e terza liceo. Nell’autunno del ’41 ci perdemmo tra varie università: chi a Genova, chi a Torino, chi a Milano. Uno della banda scelse Agraria e andò a Perugia. Io a Roma. Ma per le vacanze di Natale e nei tre mesi dell’estate ci ritrovavamo tutti a Sanremo e lì riprendevamo le abitudini di un tempo, le passeggiate al Corso, il biliardo, le interminabili discussioni: d’estate la spiaggia, lo spazio dedicato alle ragazze era aumentato, avevamo passato la soglia dei diciotto anni, dall’adolescenzaallagiovinezza.
Che stagione l’adolescenza! Senti di poter esser tutto e ancora non sei nulla e proprio questa è la ragione della sensazione di onnipotenza mentale. Non hai confini, l’immaginazione puòspaziareovunque,lavitalità non è canalizzata su un solo obiettivo; sei un dilettante di tutto, assaggi e pregusti con la fantasia; visiti Eldoradi ed Ellesponti, fantastiche eroiche avventure. E leggi tutto quellochecapita,unpo’allarinfusa. Ma noi avevamo avuto la fortuna di aver frequentato un buon liceo e sapevamo fare una selezione. Poi ci passavamoilibrienediscutevamo.
Conservo ancora una fotografia che mi ha seguito nei vari percorsi della vita: sei ragazzi seduti su una panchina di un viale alberato di palme, di fronte al mare. Uno di loro è Italocheinquegli anni fuper me l’amico più intimo. Insieme incontrammo Atena dagli occhi fulgenti, come lui mi disse una volta tanti e tantiannidopo,ricordandoloschiudersi delle nostre menti al pensiero pensante. E con Atena Odisseo, l’eroe delviaggiodell’avventuraedella conoscenza, il primo eroe moderno che l’epica di Omero ha tramandato. E di lì cominciò il nostro viaggio. I primi libri, le prime ragazze, le prime certezze, le prime paure. Scherzando e litigandotra noi comei cuccioli quando lottano a terra, ringhiando inallegria.
I giochi dei ragazzi si somigliano tutti.Diversoèilmodoincuisboccia la mente e si forma la persona. Ma noi quel viaggio non lo avremmo continuato insieme. Il viaggiatore è solo, il treno deserto. Alla stazione c’è gente, non c’è talvolta allegria. Noifingiamodiporcideipuntidiarrivo che sono soltanto transiti battuti dal vento e dalla polvere. Il nostro sodalizio finì tre giorni dopo l’8 settembre del’43,unadatachecoinvolse tutto il Paese segnando un solco profondo tra gli italiani. Un solco chenonsìèancorarimarginato,per chi l’ha vissuto già nell’età della ragione.
Voglio raccontarla quella tristissima giornata,venutadopolacaduta del fascismo e la precaria euforia di unariconquistatalibertà.
Dall’inizio di agosto avevamo visto con crescente sgomento le colonne motorizzate tedesche che scendevano sull’Aurelia verso Sud e lunghi convogli ferroviari che trasportavano nella stessa direzione i carri armati con la croce uncinata sulle fiancate. Un giorno si diffuse la voce che una squadra navale inglese fosse in vista. Molti affollarono illungomareeibinocolipassarono di mano in mano. Corremmo verso il belvedere di Capo Martino e qualcuno gridò che all’orizzonte si vedeva del fumo, ma io non vidi niente e miei amici neppure. Sapemmo poi che Genova era stata bombardataanchedalmare.
Andavamo ancora in spiaggia la mattina, ma l’allegria era svanita, anche le ragazze erano tristi, si restava all’ombra degli ombrelloni senza voglia di tuffarsi e nuotare. Finché arrivò quel giorno e ancora unavoltacometuttiigiornidall’inizio della guerra ascoltammo la voce cheleggevale notiziedelgiornale radio dagli altoparlanti di piazza Colombo.Unavocechesentoancora quando ci ripenso, leggeva il comunicato di Badoglio con la notizia dell’armistizio che ordinava alle truppe di collaborare con gli anglo- americaniopponendosiachiunque volesseimpedirlo.
All’annunciodelcapovolgimento di fronte, peraltro atteso e già avvenuto nella coscienza di gran parte degli italiani, l’intera nazione visse unattimodisilenziosospeso.Poicominciò losfasciocheinpocheoreabbatté lo Stato in tutte le sue simboliche presenze.L’esercitoprimaditutto. L’autorità del governo. Le leggi. Lamonarchia.
Il sentimento comune fu la fuga. Disperdersi. Pensare a sé e alla propria famiglia. Anche il nostro piccolo gruppo diamicisiscompose,inostri destini si separarono. Prima facemmo ancoraunacosainsieme.Ci demmoappuntamentoperlamattina dopoeandammoaldepositodella Marina, un piccolo edificio di poche stanze sopra gli scogli sulla strada litoranea per Bordighera. C’erano soltanto quattro marinai che stavano preparando i loro sacchi per andarsene.Noidicemmodiesserelì percontodel Comune.Loronon sapevano evidentementenulladeipoteri e delle competenze, ma soprattutto avevano solo voglia di lasciare quel luogo al più presto. Domandammo se c’erano esplosivi. Risposero: esplosivi no, ci sono soltanto proiettili per i cannoni costieri. Noi dicemmo che ne prendevamo consegna per conto del Comune e ci offrimmo difaredopol’inventario.Loro risposero che se ne andavano. Ci dettero la chiave del deposito e del portoneevia.
Lavorammo per tre ore a portar giù i proiettili e a gettarli sugli scogli. Alla fine stanchi e sudati decidemmo di piantarla e ci salutammo alla primasvolta.Iodissicheappenapossibile sarei partito per Roma con miopadreemiamadre.
Duegiornidopopartimmo.