Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  luglio 31 Sabato calendario

Il ritorno del figlio di Gheddafi


Saif al Islam Gheddafi è ritornato. Il figlio del colonnello ucciso nel 2011 ha scelto il modo per riprendersi la scena: una lunga intervista con il magazine del New York Times, realizzata in maggio e pubblicata solo adesso dal giornale americano. Una scelta valutata per mesi con i suoi consiglieri, perché una cosa ormai è chiara: Saif Gheddafi è pronto a tornare in politica, «gli uomini che mi hanno catturato che erano i miei carcerieri adesso sono miei amici, lavoriamo per un ritorno alla politica». Il colloquio col Times mette fine ad anni di incertezza, innanzitutto sulla stessa sorte di Saif. Le ultime testimonianze sulla sua esistenza in vita risalivano al 2014. Da allora soltanto voci, telefonate non confermate con giornalisti, ma nessuna apparizione, nessuna conferma, fino ad oggi.
Nel maggio scorso, durante il mese del Ramadan, un giornalista americano viene scortato in segreto da Tripoli a Zintan, a sud-ovest della capitale libica. Furono i miliziani di Zintan a intercettare il convoglio di jeep del figlio di Gheddafi che nel novembre 2011 puntava verso il confine col Niger, dove avrebbe dovuto incontrarsi con il capo dei servizi segreti, Al Senussi, anche lui in fuga. Saif fu catturato, trasferito a Zintan e messo in carcere. Da allora è sempre stato nelle mani della stessa milizia. Per mesi ha vissuto in un locale sottoterra, senza finestre, controllato dalle guardie: «All’improvviso nel 2014 due capi della brigata sono venuti da me, erano furiosi con quello che succedeva nel Paese. Ci pensi? Gli uomini che erano le mie guardie ora sono miei amici».
Il giovane Gheddafi racconta di aver avuto intenzione di entrare in politica molto presto. Il padre gli diede l’incarico di mediare con alcuni Paesi occidentali, inclusi alcuni negoziati mandati avanti con gli inglesi per l’attentato di Lockerbie. Poi la crescita di un suo ruolo come possibile successore, fino alla rivoluzione, alla fuga e alla cattura. Di fronte al caos che la rivoluzione aveva portato in Libia, gli zintani capirono che avrebbero potuto allearsi con Saif e con i suoi seguaci, che nel Paese stanno crescendo di continuo. In effetti i post-gheddafiani di fronte al disastro del dopo-rivoluzione diventano sempre più forti. «I politici di oggi hanno violentato il Paese», dice Saif, «è tempo di tornare a chi ha saputo lavorare per la Libia. Oggi non ci sono soldi, non c’è sicurezza, non c’è vita in Libia. Non c’è benzina, mentre noi esportiamo petrolio e gas in Italia: diamo la luce a metà dell’Italia ma noi abbiamo blackout continui. È più di un fallimento, è un disastro totale». «Questi ribelli volevano distruggere lo Stato, ma senza una Stato una società tribale come la Libia è devastata; quello che è successo in Libia non è una rivoluzione, chiamiamola guerra civile, o “i giorni della malvagità”, ma sicuro non una rivoluzione».
Saif non rinnega le idee politiche del padre. Il giornalista gli chiede se non ritenesse un po’ folli le idee del “libro verde": «Non era una pazzia, tutte le idee che sono state popolari in Occidente, come tenere referendum, hanno un riferimento nel Libro Verde». Quando gli si chiede perché abbia atteso tanto a presentarsi in pubblico, risponde che per offrirsi ai libici «è necessario fare come uno spogliarello, un pezzo alla volta, poco alla volta». Una strategia dell’attesa, mirata a far consolidare nell’opinione pubblica il disgusto per l’attuale classe politica. In questi anni, a puntare su Saif e sui gheddafiani è stata la Russia di Putin: 3 anni fa Mosca mandò due uomini collegati alla Wagner a preparare una campagna su Internet a favore di Saif. Vicina all’area di nostalgici che potrebbe sostenere Saif è quella parte di Libia schierata con Khalifa Haftar, il generale ex gheddafiano che controlla la Cirenaica. Ma a questo punto i due gruppi sono rivali, Saif in politica diventa un rivale diretto per il generale e soprattutto per suo figlio, Saddam, che il padre vorrebbe spingere in politica. Nel caos generalizzato della Libia di questi mesi, la mossa di Saif forse porta un elemento di chiarezza: c’è un nuovo protagonista, è un ritorno al passato, ma in Libia potrebbe avere anche un futuro.