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 2021  luglio 31 Sabato calendario

Pavese, scrittore “manierista e datato: è rimasto un paesano”


Ma chi è Talino, il contadino delle Langhe, compagno di cella del meccanico torinese Berto: un furbastro topo di campagna, un finto tonto che abbindola Berto per portarlo in cascina a riparare la trebbiatrice o una bestia assassina? È Berto, il topo di città, a raccontare in Paesi tuoi, scritto nell’estate del 1939 da Cesare Pavese, l’uscita dalle Nuove di Torino e il viaggio nella cascina di Monticello in treno e a piedi. Tra le quattro sorelle di Talino ce n’è una che gli va a sangue. Gisella gli sembra un frutto maturo. Scopre però che è stata “violentata” dal fratello: Gisella gli fece vedere in un incontro clandestino la cicatrice all’inguine “che non era uno spacco come fanno i bambini, erano unghiate alle radici”… Gisella morirà dissanguata, ma il padre Vinverra ordina che si continui a lavorare, come se quell’assassinio fosse messo in conto come un sacrificio.
Nella nuova edizione di Paesi tuoi (Einaudi) figura un ritratto firmato da Asor Rosa e l’introduzione di una giovane scrittrice: Nadia Terranova. Il primo sostiene che Pavese è uno scrittore irrimediabilmente “datato” e ne salva solo il ritmo che è poi quello delle poesie di Lavorare stanca. Salva infine “la ruvida scorza di un intellettuale rimasto paesano”. La Terranova invece scrive che Gisella avrebbe dovuto narrare la storia, non Berto, preso dalle amicizie maschili. “Quella violenza non viene trasformata in rivendicazione militante, ma nella descrizione di un rito tribale e antico”. Nessuno dei due critici però si sofferma sul linguaggio grezzo da traduzione, con rari dialettalismi, sull’anticipo di quel “grado zero della scrittura” di Roland Barthes.
Pavese saccheggia gli autori americani da lui tradotti o amati, da Cain a Faulkner, di cui ricorda certamente lo stupro con la pannocchia, diventando un letterato manierista. Il mito di Pavese, dovuto anche al suo suicidio, è durato fino al 1975, l’anno del massacro di Pier Paolo Pasolini. È il mito di quest’ultimo ad aver cancellato quello di Pavese.
Negli anni Sessanta ero uno studente universitario sceso a Roma dalla mia Marsica che ritrovavo nelle langhe pavesiane. Presentai all’esame con Giacomo Debenedetti una tesina ispirata dall’allora critica statistica. Incuriosito il grande critico sfogliò i fogli con i grafici sulla presenza dell’imperfetto-mito nei romanzi di Pavese. Mi disse che non c’era bisogno di quella fatica per scoprire che l’imperfetto era il tempo pavesiano. E mi domandò secco: “Ma per lei l’arte che cos’è?”. Risposi: “Memoria”. Mi prese il libretto e mi diede la lode. Non sono più riuscito a leggere Pavese quando capii che si trattava di un raffinato manierista dove, almeno in Paesi tuoi ritrovo quadretti verghiani mescolati a paesaggi americani…