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 2021  luglio 31 Sabato calendario

Gli Usa salvano i loro interpreti


Dopo essersi rivolti per mesi all’ambasciata americana di Kabul, spaventati dall’inarrestabile avanzata dei talebani in seguito al ritiro delle truppe di Washington e della Nato, gli interpreti e tutti gli afghani che hanno lavorato con i soldati dell’Alleanza Atlantica iniziano a sperare che gli Stati Uniti terranno fede alla promessa di evacuarli dall’Afghanistan. Il primo gruppo atterrato all’aeroporto internazionale di Washington a bordo di un aereo di linea è costituito da 221 afghani, tra cui 57 bambini e 15 neonati.
La Casa Bianca ieri ha confermato che questo è il primo gruppo di una serie che dovrebbe portare circa 2.500 collaboratori con famiglie a essere ricollocati negli Usa. Gli Stati Uniti stanno inoltre collaborando con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite per trasferire le famiglie anche nei paesi arabi come il Kuwait dove si è recato recentemente il segretario di Stato Anthony Blinken senza ottenere un accordo ufficiale. In quella che la Casa Bianca ha soprannominato Operation Allies Refuge, è probabile che la maggior parte degli interpreti e dei lavoratori afghani, così come le loro famiglie, vengano portati prima nelle basi militari statunitensi all’estero prima di essere reinsediati nel paese o altrove. Sono circa 20 mila coloro che finora sono riusciti a fare richiesta formale per essere trasportati negli Usa nell’ambito del programma di visti speciali per immigrati (Siv) del Dipartimento di Stato ma per ora il disegno di legge americano per il finanziamento della ricollocazione include solo altre 8.000 persone.
Alcune stime tuttavia suggeriscono che il numero totale di potenziali collaboratori sfollati potrebbe raggiungere le 100 mila unità.
Giovedì il Congresso Usa aveva approvato un disegno di legge di finanziamento di emergenza di 2,1 miliardi di dollari che comprende anche l’aiuto umanitario per ‘inevitabile alluvione di profughi in fuga innanzitutto nei Paesi vicini’. Le Nazioni Unite hanno stimato che i rifugiati potrebbero arrivare a 1 milione e mezzo entro la fine dell’anno. L’incertezza regna sovrana anche per i collaboratori afghani che hanno lavorato con il contingente italiano a Herat. Sul loro futuro, Roma non ha ancora preso una decisione definitiva. Il paese che si trova più esposto allo tsunami di profughi è, ancora una volta, la Turchia perché relativamente vicina e perché è una porta verso l’Europa. Ma anche i partiti di opposizione turchi hanno iniziato a fibrillare, non solo il presidente Erdogan che ha siglato nel 2016 un trattato con Bruxelles sui respingimenti dei migranti disatteso dalla Ue. Sono già migliaia gli afghani che hanno oltrepassato il confine con l’Iran e si trovano nella città turca di Van pronti per tentare di raggiungere l’Europa.