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 2021  luglio 31 Sabato calendario

Il voto elettronico: una pacata analisi


È passata un po’ sotto silenzio la notizia che finalmente anche l’Italia – grazie alla solerte iniziativa del governo Draghi, seguita a un emendamento grillino al Bilancio 2020 del governo Conte – s’avvia al voto elettronico, previa apposita sperimentazione. La parola d’ordine, come diceva quel tizio, è una sola, categorica e impegnativa per tutti: digitalizzare e digitalizzeremo! Cosa può andare storto? “In caso di interruzione accidentale del funzionamento del sistema, l’elettore è informato immediatamente in modo chiaro e, non appena possibile, è posto nelle condizioni di riprendere il procedimento di voto elettronico possibilmente dal punto in cui lo stesso è stato interrotto”, ci spiega il decreto Colao-Lamorgese. Possibilmente, certo, sennò pazienza. Per il resto hanno pensato a tutto: “Il voto espresso non deve essere riconducibile all’elettore. A tal fine, il sistema garantisce che le informazioni sui votanti vengano separate da quelle sui voti espressi”. Ah, lo garantisce il sistema, allora siamo a posto, tanto più che “l’infrastruttura centrale per il voto elettronico è gestita esclusivamente da personale autorizzato dal ministero dell’Interno”, cioè non da personale del ministero, ma “autorizzato”, dunque anche esperti di società private. Di cosa ci si preoccupa? È vero, in Australia hanno corretto tre volte il sistema e tre volte hanno trovato un baco, il Senate Intelligence Committee americano ritiene di avere provato che nel 2016 gli hacker (russi) fossero nella posizione di alterare i dati delle elezioni in Illinois, ma non bisogna indulgere al pessimismo: la tecnologia curerà se stessa. Certo, c’è il problema che il voto dovrebbe essere “personale ed eguale, libero e segreto” (così la Costituzione), fattispecie difficili da garantire se uno vota da casa sua o dal bar: “In nessun caso – per la stessa natura dei sistemi informatici – potrà essere assicurata una tutela assoluta alla segretezza esterna o l’esclusione di fenomeni di coercizione o di voto di scambio o, ancora, garantita in toto la verificabilità”, ha scritto la Rivista dell’Associazione dei costituzionalisti italiani. La domanda che ci assilla dunque è questa: ma a parte rendere le elezioni meno sicure, a che cazzo serve ‘sto voto elettronico?