la Repubblica, 30 luglio 2021
Sun Dawu, l’industriale utopista che partendo da mille polli era riuscito in pochi anni a costruire un impero per una Cina più equa, è finito in galera
Miliardario utopista in cella sognava una Cina più equa
Sun aveva creato un impero agricolo e una città con scuole e farmaci gratuiti Voleva “redistribuire la ricchezza”. Condannato a diciotto anni di carcere
dal nostro corrispondente
PECHINO – Diciotto anni di carcere. Condannato, tra le altre cose, per aver “provocato disordini”: immancabile etichetta che la Cina appiccica addosso a dissidenti, difensori dei diritti umani e a chi in generale disturba la marcia del Partito comunista. Per Sun Dawu, l’industriale utopista che partendo da mille polli e cinquanta maiali era riuscito in pochi anni a costruire un impero, mercoledì è arrivata la sentenza. Il Tribunale di Gaobeidian, provincia dello Hebei, a sud di Pechino, ha condannato l’imprenditore miliardario per “occupazione illegale di terreni agricoli”, “intralcio alla funzione pubblica”, “raduno di folla per attaccare organi statali”. Oltre al pagamento di 3,11 milioni di yuan (400 mila euro). Assieme a lui sono finiti in carcere pure i figli e i suoi due fratelli. Una condanna, sostengono gli avvocati, simbolo di come la leadership comunista vede ormai gli imprenditori privati. Sempre peggio.
Ex soldato, 67 anni, dopo essersi licenziato dalla Agricultural Bank of China, nel 1984 Sun fonda un’azienda agricola, la Dawu Agricultural, due ore di macchina a sud della capitale. “Ridistribuire la ricchezza”, ci aveva fatto scrivere su un cartello all’ingresso. In pochi anni diventa un impero da un miliardo di dollari (tra le 500 aziende private più grandi di Cina) che oltre alla carne e ai prodotti agricoli spazia anche nel turismo. Per i suoi 9mila dipendenti ha creato una città, che porta il suo nome, con scuole, un ospedale da mille posti e medicine gratuite, uno stadio e un teatro dove oggi vivono 20mila persone. Un’oasi di welfare che rifletteva le sue idee di una società rurale più equa.
Critico con il Partito, per anni non ha nascosto le sue simpatie per gruppi liberali e riformisti, pagando pure le spese legali di alcuni dissidenti finiti nei guai. Aveva condannato le autorità per la gestione iniziale del Covid. Nel 2019 svelò l’epidemia di peste suina che aveva decimato gli allevamenti in Cina, compresi i suoi, denunciando i tentativi di insabbiamento del governo.
L’11 novembre scorso era stato arrestato, portato via in manette in piena notte, assieme ad altri 19 tra familiari e soci dopo una disputa legale con un’azienda di Stato su alcuni terreni. I fondi sono stati congelati e “gruppi di lavoro” cioè ufficiali del Pcc – hanno occupato i suoi uffici, controllando di fatto l’azienda.
I giorni passati in carcere sono stati “brutali”, ha confidato ai suoi legali durante il processo iniziato due settimane fa. E con interrogatori per estorcere una qualche confessione. «La vita in questi mesi è stata peggiore della morte».
Una condanna che segue quella dello scorso anno – sempre a 18 anni – di un altro miliardario, Ren Zhiqiang, reo di aver dato del “pagliaccio” a Xi Jinping.
Non è la prima volta che Sun deve fare i conti con tutto questo. Era già stato condannato nel 2003 per “raccolta di fondi illegale”: sentenza sospesa dopo le grandi proteste in suo sostegno. Questa volta, però, a difenderlo non è rimasto quasi più nessuno. Tra i suoi sostenitori c’era un tempo quel Liu Xiaobo, premio Nobel nel 2010, morto in carcere sette anni dopo. «Il governo lo perseguiterà con leggi poco chiare», disse. Non si sbagliava.