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 2021  luglio 30 Venerdì calendario

Fare a botte con Polanski

Vuoi il caso, vuoi la fortuna, vuoi la soffiata. Non ricordo. Però ricordo perfettamente quella sera d’estate del 1971, in via della Croce a Roma. L’una di notte. Dal ristorante esce Roman Polanski insieme a una fanciulla; di lui non si avevano più notizie da due anni, dalla tragedia nella quale era stata uccisa sua moglie, Sharon Tate, a due settimane dal parto. Quindi quell’incontro con il regista assurgeva al ruolo di scoop internazionale.
Mi apposto. Scatto. Lui se ne accorge e corre verso di me, urla, sbraita, sento il suo alito pesante addosso, mi aggredisce fisicamente e mi strappa la macchina fotografica.
Tutto, ma la macchina no. Per me è il mio cuore, la mia protetta, la mia croce. Tutto, ma lei proprio no. Così reagisco, lo alzo per il collo, il suo alito pesante si strozza, mi accorgo che sbianca e lo sento sbiascicare qualcosa; nel frattempo molla la macchinetta e cerca rinforzi.
Arrivano i vigili. E che combinano? Mi multano per occupazione abusiva di suolo pubblico: 300 mila lire. Non ci sto. Chiamo l’avvocato, finiamo in tribunale, il giudice mi dà ragione, straccia la multa, ma devo comunque saldare la fattura del legale: 800 mila lire. Vabbè. Però da quel giorno il buon Polanski non mi ha più detto nulla: lo beccavo ovunque, nei locali, nelle feste, nei posti più improbabili. Bicchiere in mano. Mi appostavo, click, lui zitto. E spesso con donne differenti: c’era Nastassja Kinski, altre non conosciute, e soprattutto Marina Ripa di Meana. Mentre Polanski, come sempre, appariva imbronciato, con quell’atteggiamento misto tra sofferenza e supponenza, quel passo svelto per via delle gambe corte, Marina rideva mentre camminava accanto a lui, magari mezzo passo indietro per non farsi beccare. Mi guardava e rideva. Sapeva cosa era accaduto anni prima, e tra me e lui, alla fine, aveva scelto con chi stare.