il Fatto Quotidiano, 28 luglio 2021
Rovesciare i generi nelle favole
Cappuccetto Rosso? È maschio e nel bosco incontra una Lupa cattiva. Anche Cenerentolo è maschio e perde una scarpa di cristallo dalle dimensioni non propriamente minute. E che dire di Raperonzolo che lancia la barba invece della treccia per farsi salvare o delle Sette Nane che vegliano su Bucaneve, maschio e addormentato? Gli inglesi Karrie Fransman, artista e autrice di fumetti, e Jonathan Plackett, creativo esperto di tecnologia, hanno deciso di prendere le fiabe classiche e rovesciare l’elemento del genere, attraverso un algoritmo capace di scambiare “lui” in “lei”, “Signora” in “Signore”, “figli” in “figlie”. Ne è venuto un libro, Fiabe d’altro genere. Cambiare il punto di vista per cambiare la storia (Rizzoli, trad. di Lia Celi; e ora anche un podcast disponibile gratuitamente sulle maggiori piattaforme), abbastanza sorprendente, anche nelle immagini che illustrano le fiabe. “Dopo aver applicato l’algoritmo scambia-generi ad alcune fiabe”, spiega Jonathan Plackett, “abbiamo capito che avevamo fra le mani qualcosa di speciale. Vedevamo principesse in armature scintillanti che correvano a salvare principi addormentati, Re seduti alla finestra a cucire sognando di avere un figlio: le storie acquistavano una nuova dimensione”. Un eccesso di politicamente corretto? Uno stravolgimento di fiabe ancestrali e dunque intoccabili? Abbiamo chiesto un parere a due scrittrici di peso, Silvia Avallone (ultimo libro Un’amicizia, Rizzoli) e Dacia Maraini (ultimo romanzo La bambina e il sognatore, sempre Rizzoli).
Che sensazioni ha provato di primo acchito avendo il libro tra le mani?
Avallone: Di queste fiabe in realtà avevo sentito parlare prima che uscissero, e avendo una figlia ho avuto subito un’enorme curiosità di leggerlo, perché in effetti mi ero già posta il problema degli stereotipi leggendo favole recenti, classiche, ma anche guardando i vecchi film Disney. Il fatto è che le favole hanno un impatto sui pensieri dei bambini, sul modo in cui loro si vedono e si immaginano. E i bambini hanno meno strumenti. Sentire sempre e solo di una principessa che viene salvata e mai un principe che ha bisogno di aiuto diventa pericoloso, anche nella misura in cui purtroppo viviamo in una società che chiede alle ragazze di essere belle e zitte e ragazzi all’uomo di non piangere mai. L’idea che mia figlia ascoltasse anche un’altra versione di quei racconti, dove non è sempre il lupo a essere cattivo, mi è sembrata subito intrigante. E anche a mia figlia, che si messa a ridere, è stato divertente per lei vedere che una ragazza può avere le redini del cavallo e andare a salvare qualcuno. Però voglio dire che questo discorso vale anche per i maschi: se avessi avuto un figlio non sarebbe cambiato, non cerco narrazioni diverse perché ho una figlia femmina, la liberazione dagli stereotipi vale anche per i bambini.
Maraini: Cosa ha provato? Naturalmente un senso di spaiamento. Ma credo che sia utile, perché fa capire l’ingiustizia di certe valutazioni che diamo per scontate e non vediamo più l’ingiustizia che comportano nel rapporto sbilanciato fra i sessi.
Gli autori del libro hanno invertito solo il genere. Eppure molti nelle fiabe antiche gli elementi arcaici che potrebbero disturbare, dalla violenza a una religione molto superstiziosa. Non bisognerebbe allora cambiare tutto?
Avallone. No, penso di no. Comunque, ripeto, non stiamo parlando di opere d’arte, ma di fiabe che ci sono state tramandate con rimaneggiamenti, che hanno radici orali, folcloristiche, non certo testi come l’Iliade o Madame Bovary. Per questo è importante tenere traccia della storicizzazione, e leggere le diverse versioni. Ascoltare una fiaba con più accenti e interpretazioni spiega che non c’è una sola versione possibile. Questo mi sembra un punto fondante.
Maraini: Certamente non basta scambiare i generi. Lo prendo come un esercizio utile. Ma la visione del mondo che comportavano le fiabe andrebbe rivista e ricostruita secondo nuovi valori. Prendiamo una fiaba come Barbablù, che sembra sia stata scritta per scoraggiare la curiosità delle bambine. Ma quanta violenza c’è nel racconto e trasformando Barbablù in Guance rosa cambierebbe la situazione? Non esiste per una donna la poliandria e non sarebbe credibile una ragazza, per quanto malvagia, che sposi otto uomini e li uccida tutti perché si sono dimostrati curiosi e disobbedienti.
Siamo sicuri poi che con le favole antiche i bambini acquisiscano stereotipi, o forse sanno distinguere realtà e finzione meglio di noi?
Avallone. Ovviamente c’è il discorso, enorme, dell’esempio. In casa mia è mio marito che fa le torte e che cucina, dunque se io racconto mille favole in cui c’è sempre la mamma o la nonna che fa i biscotti, ma la realtà che mia figlia vede è diversa, i rischi sono minori. Eppure anche io, che sono nata e cresciuta in una famiglia che non mi ha trasmesso particolari stereotipi e mi ha sempre invitato a lavorare alla pari dei miei compagni maschi, ho avuto mille problemi: mi è stato fatto notare che non dovevo fare certi giochi, né occuparmi di certi argomenti, in maniera più o meno velata, e se penso al mondo in cui abito mi accorgo che ci sono disparità gigantesche. Il concetto è riuscire a far passare l’idea che tu ti realizzi attraverso te stessa, non sposandoti, non in quanto “figlia di” o “madre di”, ma solidamente libera in quella che sei tu, nel tuo slancio.
Maraini: Secondo me le storie vanno raccontate con spirito critico, soprattutto insegnando ai bambini che la Storia comporta diversità che vanno rispettate e capite. C’è spazio per i grandi artisti del passato e per i moderni talenti che propongono altri valori. Se si storicizza si capisce che non esiste una sola morale, un solo codice, una sola visione delle cose.
Negli ultimi mesi c’è stato anche un grande dibattito sulla correzione della letteratura in senso politicamente corretto. Stiamo parlando della stessa cosa?
Avallone. No, sono due cose diverse. Sulla letteratura io non ho dubbi, non possiamo cambiare delle opere d’arte, è assurdo, però possiamo parlare della loro contestualizzazione. Di recente ho riletto l’Iliade e mi sono accorta del carico di maschilismo che porta con sé e questo mi serve senz’altro oggi. Eppure se avessimo fatto a scuola una lezione per parlarne quando avevo quattordici anni, per contestualizzare e storicizzare l’opera, sarebbe stato utilissimo. Così come è interessante chiedersi come sarebbe Madame Bovary se l’avesse scritta una donna, come spunto di riflessione, non per cambiarla, anche perché per me affrontare i problemi significa guardarli in faccia, non farli scomparire; dobbiamo avere una coscienza storica delle nostre battaglie e Madame Bovary ci aiuta a prendere consapevolezza di determinati problemi. Insomma non abbiamo bisogno di emendarla, abbiamo invece bisogno di leggerla con intelligenza.
Maraini. Tutto si può fare in letteratura. Pensi quanti racconti popolari sono stati riscritti da autori di tutti i tempi. Quante Medee, quanti Edipo, quante Clitemnestre! Il problema non è se sia lecito o meno rivedere le storie antiche, ma dare trasparenza a una operazione di intervento ragionato. Sarebbe intollerabile se si pretendesse di cancellare i grandi autori del passato per imporre al loro posto delle interpretazioni moderne. Bisogna sempre storicizzare quando si legge o si ammira un’opera d’arte, altrimenti finiamo come i terroristi che hanno distrutto i meravigliosi budda scolpiti nella roccia, o come quelli che hanno buttato giù le statue di Cristoforo Colombo. Ogni epoca ha il diritto di esprimere le proprie opinioni e i propri valori, ma senza pretendere di essere la sola e unica interprete delle storie da raccontare. Quindi rispetto per il passato con le sue bellezze che a noi possono risultare contraddittorie, ma che rappresentano una realtà da rispettare, e nello stesso tempo tutta la libertà possibile per una interpretazione nuova dei miti e delle leggende del passato.
Siamo nel mezzo della discussione sul ddl Zan. Queste fiabe sono nella direzione di avere maggiori diritti civili? E infine: non si tratta forse di un’operazione elitaria?
Avallone: Io penso che saremmo una società più felice, se davvero potessimo essere noi stessi, invece che doverci rinchiudere in astrazioni violente, perché ognuno di noi è una storia complessa, ha i suoi desideri, è fatto come è fatto. Vorrei una società in cui ognuno fosse libero di poter diventare se stesso, essere ascoltato, non giudicato o pre-giudicato in base a degli schemi, anche perché la mole di sofferenza di infelicità delle famiglie che ci portiamo dietro è enorme e assurda, non ha senso. Non accettare qualcuno per il suo orientamento e le sue idee non ha veramente senso, fa male a tutti, anche a chi ha paura. Ed è il contrario di una società che fa fiorire la partecipazione di tutti.
Maraini. Non mi pare che sia una operazione elitaria. I bambini di tutto il mondo, che siano ricchi o poveri, amano le favole. E rovesciare gli stereotipi per capirne l’ingiustizia è utilissimo. Può essere una operazione più didattica che artistica ma se viene dichiarata come tale è assolutamente legittima. L’importante è sempre chiarire, essere trasparenti e dichiarare le proprie intenzioni.