Il Sole 24 Ore, 28 luglio 2021
Rischiamo l’estinzione
Non possiamo sbagliare. I bambini nati negli ultimi anni potrebbero terminare la loro vita in un pianeta inospitale. Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, in audizione alla Commissione Istruzione pubblica, Beni culturali del Senato, ha avvertito: «Se non faremo abbastanza per ridurre le emissioni di gas-serra, nel 2090 l’aumento della temperatura media globale potrà arrivare anche a 4-5 gradi e a quel punto l’umanità rischierà l’estinzione».
Gli scienziati di solito non fanno previsioni. Fanno modelli che confrontano con i dati e arrivano a descrivere scenari. L’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu (Ipcc), un network per lo studio del clima al quale collaborano migliaia scienziati, premiato con il Nobel nel 2007, ha descritto come sono collegate le emissioni di gas-serra dovute all’attività umana e i probabili aumenti di temperatura sul pianeta. Tra gli scenari che contano, quello che ipotizza un aumento della temperatura limitato a +1,5 gradi rispetto all’epoca pre-industriale mostra che il pianeta può adattarsi, pur con gravi perdite di biodiversità. Già arrivando a +2 gradi i disastri ambientali si moltiplicano e si aggravano, costringendo gli umani a cambiare abitudini e organizzazione di vita. Ma a 4-5 gradi le conseguenze prevedibili sono ingestibili.
Il punto è che, grazie all’Ipcc, gli umani sanno anche che per evitare un aumento della temperatura disastroso occorre agire ora. Gli umani devono azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050, altrimenti l’aumento della temperatura farà entrare il pianeta negli scenari più disastrosi. Questo richiede decisioni impressionanti già ora. La stessa International Energy Agency, un’organizzazione intergovernativa collegata all’Ocse che studia l’energia, ha stupito il mondo pubblicando un rapporto che mostra come per arrivare all’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi occorre cessare la ricerca di nuovi giacimenti petroliferi già dal 2021.
Il punto è che già con gli aumenti causati dall’attività umana degli ultimi due secoli si sono avviate trasformazioni dell’ambiente tali da determinare l’estinzione di almeno un milione di specie viventi, osserva l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes). E se la biodiversità conosce un simile cataclisma tutte le specie rimanenti si impoveriscono e rischiano a loro volta di peggiorare le loro probabilità di sopravvivenza, in uno dei circoli viziosi più pericolosi innescati dall’emergenza climatica. E, dunque, alla fine anche gli umani rischiano. Dopodiché le specie sopravvissute evolveranno in altre forme e con nuove biodiversità, ma gli umani potrebbero non essere presenti per studiarne i segreti.
In un percorso del genere, l’errore più grande per gli umani è abbarbicarsi alle soluzioni tecnologiche sviluppate durante l’industrializzazione basata sul consumo di combustibili fossili. È impensabile supporre che si possa tornare indietro nell’organizzazione della vita umana all’epoca pre-industriale, a meno di rinunciare all’idea di poter mantenere in vita 7-9 miliardi di umani. Per fare a meno delle fonti di energia che liberano CO2 nell’atmosfera e dei modelli di sviluppo che generano gas-serra, la strategia emergente non è abolire l’innovazione, ma accelerarla, guidandola in una direzione sensata. Alle frontiere di questa innovazione ci sono opportunità straordinarie: la produzione di energia da fonti rinnovabili e lo stockaggio di energia in batterie e idrogeno; l’uso dell’intelligenza artificiale, della robotica e dei sensori per il monitoraggio dell’evoluzione del clima, per l’agricoltura di precisione, per la produzione industriale ad architettura circolare, per la distribuzione e il consumo sano e privo di scarti; la biotecnologia ecologicamente intelligente per conservare o rafforzare le specie a rischio; i nuovi materiali per lo sviluppo di soluzioni produttive più equilibrate; lo studio della leadership nella complessità e della collaborazione nella diversità, nell’ambito delle nuove scienze della mente e della cognizione; sono solo i più noti ambiti dell’esplorazione delle possibilità che l’innovazione può trasformare in soluzioni adottate dalla società. Ma l’innovazione non può essere considerata una disciplina autonoma dagli obiettivi umani. L’uomo sta imparando a comprendere che il progresso non è tale se è soltanto tecnologico e non tiene in conto le sue conseguenze sugli ecosistemi.
Insomma, la transizione ecologica non è il territorio della paura e della conservazione. Non è neppure il mondo dell’innovazione selvaggia. È lo spazio che l’economia della conoscenza riserva alla capacità degli umani di scegliere con saggezza del loro futuro. Ma poiché gli umani sanno che si sarebbe arrivati a questo punto fin dal 1972, quando è stato pubblicato lo studio voluto dal Club di Roma e realizzato dall’Mit intitolato “I limiti dello sviluppo”, la conquista della saggezza potrebbe essere la più straordinaria delle innovazioni umane. Non è detto che non ci si arrivi. Ma come dice Cingolani, non possiamo sbagliare.