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 2021  luglio 28 Mercoledì calendario

Intervista allo scrittore svedese Pascal Engman

C’è un mondo sommerso che corre, ribolle nel dark web. Li chiamano Incel celibi involontari sono maschi eterosessuali che si sentono minacciati dall’emancipazione femminile. Le donne, per loro, sono esseri inferiori, una merce per far sfogare gli istinti sessuali, pianificando di seviziarle e ucciderle senza pietà. Usano forum criptati e una precisa terminologia le chiamano foids, femminoidi inneggiando a chi ha immolato la propria vita uccidendole, dando il buon esempio.
Ecco perché parlare di violenza contro le donne è necessario, lo dimostrano i recenti casi di attualità, come l’arresto del 21enne americano Tres Genco, un ragazzo dell’Ohio che sentendosi rifiutato, acquistava armi automatiche da diversi anni, sognando di uccidere almeno tremila donne. Come spiegare e arginare il fenomeno degli incel? Dove non arriva la cronaca, ecco la finzione di Pascal Engman, giornalista e scrittore svedese classe 86, l’unico sulla scena che possiamo accostare al compianto Stieg Larsson della trilogia Millennium. Con Femminicidio (Salani, tr. Andrea Berardini, pp.480) – acclamato da due autori del calibro di David Lagercrantz e Camilla Läckberg – Engman firma uno dei thriller scandinavi più efferati e riusciti degli ultimi anni, ponendo al centro dell’intreccio proprio la comunità incel e un caso di stupro, creando il personaggio della poliziotta Vanessa Frank, «una professionista e al contempo, una donna ricca e viziata», correndo verso un epilogo da brividi che scuoterà anche i lettori più smaliziati.
L’etichetta Incel è apparsa sul web nel 1993. Eppure, pochi sanno di cosa si tratta. Perché?
«Gli Incel, celibi involontari, sono uomini che si incontrano online, accomunati da misoginia e odio, perché non riescono a trovare una donna con cui condividere la vita o con cui fare sesso. Alcuni sono vergini, altri non hanno rapporti sessuali da anni. Per loro, le donne, non sono nemmeno esseri umani e per aizzarne la rabbia basta poco, un gesto scortese, un saluto non corrisposto».
Come li ha scoperti?
«Nel 2018, a Toronto, Alek Minassian ha ucciso dieci persone, investendole con il suo furgone bianco. Sui forum lo hanno celebrato come un eroe. Ho letto con i miei occhi, Alzerò una birra per festeggiare ogni donna uccisa, tra i diciotto e i trentacinque anni. Gli incel sono una seria minaccia per la società perché non si limitano ad abbaiare online».
Cosa li rende unici?
«Il punto chiave è la disumanizzazione della donna. Chiamare un gruppo di persone puttane, bambole del cazzo, carne da macello, non le rende più esseri umani degno di rispetto, aprendo la strada alla violenza fisica, passando dalle parole ai fatti».
Cosa vorrebbero gli Incel dalla società occidentale?
«Per loro la parità dei sessi è semplicemente una menzogna. Le dirò di più, pensano che dovrebbero esserci dei campi di stupro, convinti che le donne siano oggetti sessuali. Alcuni di loro pianificano di unirsi all’Isis, con la speranza di catturare schiave del sesso. E ovviamente, inneggiano alla violenza, usano armi automatiche e approvano l’uso della tortura».
Di recente il caso di Tres Genco ha scosso l’opinione pubblica.
«Era ora. Ma negli ultimi due anni più di 50 persone sono state uccise in Nord America in sparatorie di massa legate agli Incel. Altre 29 vittime durante il 2018. Ci sono persino degli eroi come Elliot Rodger che, nel 2014, ha ucciso sei persone in California. Dire To go ER, è un detto popolare nel loro mondo».
Cosa significa?
«Uccidere più persone prima di venire uccisi dai poliziotti».
In Italia c’è chi non approva l’uso della parola femminicidio. È necessaria?
«Non credo. Ma non possiamo chiudere gli occhi davanti al modo in cui le donne vengono maltrattate. In Svezia quasi quindici donne vengono uccise da un partner o un ex partner, ogni anno. La violenza domestica è un problema enorme, in Svezia come in Italia. E noi dobbiamo combatterla, ad ogni costo».
A proposito, una delle sue protagoniste, la giornalista Jasmina, viene stuprata. Lei scrive, sapeva benissimo che avrebbe dovuto denunciare la violenza ma temeva lo stigma sociale. Come ne usciamo?
«Lo stupro è un crimine difficile da provare. Dobbiamo tenerlo a mente. Chi ne è accusato ha diritto ad un processo equo e talvolta, le vittime non sono pronte a denunciarlo subito. Ciò peggiora le cose, perché molte prove vengono perse per sempre. Non so come vengono gestite le cose in Italia, ma la legislazione anti-stupro crea molti dibattiti in Svezia».
Che idea si è fatto?
«Non possiamo compromettere la certezza del diritto, ma temo che molti uomini che hanno commesso uno stupro, vengano dichiarati non colpevoli e ciò crea frustrazione. Una cosa è certa, la maggior parte degli abusi sessuali non viene denunciata».
Pascal, descrive Stoccolma come una città in mano alla criminalità. È la fine del sogno dell’integrazione multirazziale?
«Stoccolma sta affrontando un enorme problema con le bande armate, è vero. Un paio di giorni fa hanno sparato a due bambini in un sobborgo. Il problema è la segregazione, la profonda ingiustizia economica e una legislazione obsoleta».
Ovvero?
«Se fossimo stati in grado di integrare queste persone, non avremmo queste sfide. Ma non dimentichiamo che il 98% degli immigrati non commette reati, sono persone, come te e me, che vogliono poter vivere la propria vita in pace. E voglio essere chiaro, la Svezia non funzionerebbe senza i suoi immigrati. Cadremmo a pezzi».
Lei è un giornalista e i tuoi romanzi mescolano inchieste e fiction. È la lezione di Stieg Larsson?
«Molte persone preferiscono confidarsi con gli autori anziché con i giornalisti. Il mio prossimo romanzo, Cocaine, parlerà del traffico di droga ma nessuno di questi criminali mi avrebbe parlato in quanto cronista.
E come scrittore?
«Non vedono l’ora di raccontarmi tutto».