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 2021  luglio 28 Mercoledì calendario

Intervista a Stefano Cingolani

Che sia uno scienziato lo si capisce non solo dall’elenco dei premi in Fisica vinti o dai libri. Non capita tutti i giorni che i ministri dell’ambiente dei venti maggiori Paesi al mondo vengano guidati da un signore che ha la forza di ricevere uno dei maggiori esperti di clima ed ex candidato presidenziale, l’americano John Kerry, senza cravatta. Per di più pronto a togliersi la giacca: per il caldo certo. Ma anche perché la questione ambientale ha sempre meno bisogno di forme e sempre più di fatti. Le 1.400 tonnellate di avocado che ormai si producono alle falde dell’Etna (lo ha ricordato il «Financial Times» sabato scorso) assieme alle piogge inattese in Cina e in Germania, alla grandine in Franciacorta e agli incendi in Sardegna, sono tutti eventi che ci dicono che sull’ambiente non è più tempo di chiacchiere, ma di fatti. Ci ricordano che se per battere la pandemia ci si deve vaccinare senza se e senza ma, purtroppo per il riscaldamento climatico non esiste un vaccino. Anzi, piccoli e grandi scetticismi non fanno altro che aggravare la situazione. Eppure alla fine di ogni G7 o G20 tutto ciò passa in secondo piano. L’importante sembra essere solo decidere se è stato un accordo, un mezzo accordo, o poco più di una discussione. E allora la domanda la giriamo a chi è stato capace al G20 di Napoli di bloccare i ministri per 7 ore dentro una stanza per arrivare al dunque: Roberto Cingolani, lo scienziato ma anche il manager con il piglio di chi ha fatto nascere e guidato l’Istituto italiano di tecnologia e che oggi è ministro della Transizione Ecologica.«Se lei va per strada e chiede a chiunque: ambiente, clima ed energia sono legati? La risposta sarà sì. Ebbene nessun G20 aveva mai, sottolineo mai, stabilito una correlazione – risponde Cingolani –. Quei 20 Paesi che producono l’80% di gas serra, si sono impegnati ad azioni concrete. Che significa intervenire anche su come produciamo l’energia, il vero nodo».
Ma Cina, Russia, Brasile…
«Cina, Russia e Brasile coerentemente hanno detto che garantiscono di rispettare gli impegni di Parigi. Le sembra poco? È un risultato che nessuno si sarebbe aspettato solo qualche settimana fa».
Non mi sembra poco che non si impegnino a limitare l’aumento della temperatura a 1,5° e a fissare una data certa per l’addio al carbone…
«Giusto. Ma si deve pensare anche a un dato: alle emissioni pro capite dei cittadini indiani o cinesi che sono molto più basse delle nostre. Tradotto: noi stiamo usando i condizionatori d’aria e vogliamo farlo usando nei prossimi anni fonti di energia rinnovabili. Ma chiediamo adesso a chi ha a malapena un ventilatore di non usarlo. O di rinunciare a un’occupazione».
E cioè?
«Ogni scelta che riguarda l’energia, che è il motore dello sviluppo dei Paesi in termini di lavoro e crescita, richiede un livello di decisioni politiche che un G20 dei ministri non poteva prendere. E che solo un G20 politico dei capi di governo ora potrà adottare. Il nostro compito era far capire che i Paesi più sviluppati sono pronti ad aiutare quelli più svantaggiati con la conferma dell’impegno nel fondo dedicato da 100 miliardi. E che la strada è ormai segnata».
È una questione di soldi?
«Anche. Soprattutto di riuscire a portarsi dietro gli altri 130 o 140 Paesi, in alcuni dei quali non si dispone di acqua potabile e dove la maggioranza dei cittadini ha un’ora di elettricità al giorno. La transizione non deve lasciare indietro nessuno, deve essere giusta».
Ma anche per noi, per la nostra industria, gli impegni producono danni. Ci sono già stati i primi licenziamenti nel settore dell’automotive…
Fonti rinnovabili
Eliminare le strozzature ci deve consentire di installare 8 Gigawatt da fonti rinnovabili l’anno per i prossimi 9 anni. Come se otto città l’anno venissero alimentate da fonti rinnovabili
«Una transizione giusta non può danneggiare i lavoratori e le imprese».
Facile a dirsi, ma come si fa?
«Capendo che è una transizione che durerà dieci anni, come dice John Kerry. E che è più complessa di quanto ci immaginiamo. Una transizione ecologica ha a che fare con la demografia, l’economia, l’agricoltura, l’energia, la mobilità. Molti dicono che così facendo si produrranno centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma che fare di quelli che si perderanno nel frattempo?».
Ce lo dica lei… Chi è oggi impegnato nella produzione di motori a combustione interna e auto non elettriche vede un futuro fosco, lo ha detto anche lei sostenendo che la Motor Valley è a rischio...
«Per quelle frasi sono stato accusato di essere poco green. Ma sono convinto del fatto che le filiere italiane consolidate vadano salvaguardate. Certo, guardando al futuro: vanno inserite in un percorso di innovazione e sostenibilità. Anche Francia e Germania ragionano così».
Che c’entrano Francia e Germania?
«C’entrano perché l’Italia è oggi vista come un attore molto serio in Europa. Che può fare richieste come quella che permette alla Francia di avere il nucleare e alla Germania il gas del Nord Stream 2».
Che cosa ha in mente?
«Non si tratta di fare compromessi al ribasso, sia chiaro. Ma in Italia ci sono 12 milioni di auto altamente inquinanti. Intanto possiamo pensare a sostituire quelle. Anche con aiuti, con incentivi per l’acquisto di auto meno inquinanti».
Anche a motore termico?
Auto inquinanti
Non si tratta di fare compromessi al ribasso. Ma in Italia ci sono 12 milioni di auto altamente inquinanti. Possiamo sostituirle, anche con incentivi per l’acquisto di auto meno inquinanti
«Transizione significa esattamente questo: passare progressivamente a tecnologie sempre meno dannose per l’ambiente. Senza editti dall’oggi al domani».
Anche perché, seppure con incentivi, non tutti potranno permettersi un auto elettrica...
«Le dirò di più, serve una rete intelligente per gestire una richiesta di elettricità altalenante. Con il Pnrr investiamo su quello. E servono quelle 30 mila centraline di ricarica che ci siamo impegnati ad installare. La produzione elettrica deve diventare sempre più rinnovabile, perché se per far circolare un’auto elettrica uso energia da fonti fossili, o peggio da carbone, non facciamo nessun progresso».
Molto vicino all’industria e poco all’ambiente è l’accusa di Conte e dei 5 stelle …
«C’è anche chi mi accusa di non pensare alle imprese… Delle due l’una. Forse tento di fare solo bene il mio lavoro. Se poi è poco verde avere come obiettivo che il 72% dell’energia elettrica al 2030 sia prodotta da fonti rinnovabili, o che al 2025 il carbone sia eliminato dal nostro Paese, giudichi lei».
D’accordo ma in concreto? Sono passati 5 mesi e mezzo da quando è ministro…
«Intanto abbiamo fatto il Pnrr. Che per quello che ci compete vale 60 miliardi. Ed è stato giudicato eccellente dall’Europa. Entro agosto partiranno i primi bandi».
Bisognerà essere capaci di spenderli quei soldi.
«In questi cinque mesi abbiamo anche creato un ministero nuovo. Abbiamo integrato le competenze dell’energia che prima non c’erano. Ci sono tre nuove direzioni generali, guidate da tre donne, e non è un caso. Assumeremo oltre 150 tecnici per valutare e far partire i bandi. Ma soprattutto, e sempre in questi cinque mesi, abbiamo fatto il decreto semplificazioni».
Che speriamo funzioni.
I risultati di 5 mesi
Che cosa abbiamo fatto in 5 mesi? Un Pnrr da 60 miliardi, un nuovo ministero con tre donne direttori generali e 150 assunzioni, un decreto semplificazioni, il G20 di Napoli
«Sta a noi farlo funzionare. Eliminare quelle strozzature ci permetterà di installare 8 Gigawatt da fonti rinnovabili all’anno per i prossimi 9 anni. È come se otto città all’anno venissero alimentate da energia da fonti rinnovabili. Puntiamo a ridurre del 50% i rifiuti urbani e a frenare il consumo del suolo, che per un Paese come il nostro è fondamentale. Questo per la nostra parte, e non finisce lì: abbiamo individuato 44 famiglie di interventi. Ma se non ci fosse stato il G20, e senza impegni concreti sulla decarbonizzazione alla COP 26 di Glasgow co-presieduta da noi e dagli inglesi, è chiaro che da soli possiamo fare ben poco per il clima e lo sviluppo. I cambiamenti climatici non si fermano ai confini degli Stati».
E si torna a Cina e India…
«Esatto. Dobbiamo renderci conto che il dialogo è decisivo, lo ha sottolineato anche Mario Draghi intervenendo alla Fao, e l’Italia in questo deve essere leader. Si torna al nostro G20 e, mi lasci dire, anche allo spirito di Napoli...»